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domenica 15 maggio 2016

#appuntisemiseridipaleontologia7

Un interessante approfondimento sulle faune fossili di Bolca, riportiamo abstract dell'articolo: 
Scavi Controllati nei siti della Pesciara e Monte Postale forniscono  nuovi elementi sulla paleocologia e tafonomia deella associazioni ittiche del Konservat-Lagerstätte di Bolca, Eocene Italy
Autori: Marramà, Bannikov, Tyler, Zorzin, Carnevale

Il Konservat-Lagerstätte di Bolca, (VR), è famoso per l'abbondanza e l'ottima conservazione dei suoi fossili eocenici. Anche se i siti di Bolca hanno fornito una delle associazioni fossili ichthyofaunistiche più studiate del mondo, alcuni aspetti circa la struttura della comunità e dei processi biostratinomici che hanno portato all'accumulo di suoi resti di pesce sono stati trascurati o sottovalutati. Al fine di migliorare la nostra conoscenza relativa alla paleoecologia e paleoambiente di Bolca, un'analisi quantitativa paleoecologico e tafonomica dei pesci raccolti durante gli scavi controllati presso i siti Pesciara e Monte Postale è presentata qui. I risultati di queste analisi consentono di suggerire che questi due siti abbiano diversi specie fossili  e diversi contesti deposizionali. La conservazione di alta qualità dei pesci dal sito Pesciara ha permesso l'identificazione a livello di specie di molti dei suoi campioni, fornendo una buona risoluzione del suo spettro paleoecologico. La fauna ittica della Pesciara è definits da una precisa struttura oligarchica chiaramente dominata da taxa planctivori. Le caratteristiche tafonomici confermano che i sedimenti sono stati depositati in un bacino intraplatform in cui condizioni anossiche in fondo e lo sviluppo del biofilm agivano come promotori di conservazione fossili di alta qualità. D'altra parte, la qualità di conservazione moderata dei pesci di Monte Postale non consente per la maggior parte dei campioni l'identificazione a livello genere o specie, rendendo difficile interpretare i rapporti ecologici e trofici all'interno di questa associazione. Tuttavia, l'abbondanza di piante marine e terrestri, accoppiato con il gran numero di invertebrati (tra cui coralli abbondanti), concorrono a suggerire che i sedimenti di Monte Postale si fossero probabilmente depositati in prossimità di una zona costiera emersa caratterizzata da mangrovie, alghe, e le barriere coralline . La disgregazione importante di scheletri di pesce, insieme con la dispersione unimodale degli elementi e bioturbations, indicano chiaramente un alto grado di disturbo nella paleoambiente Monte Postale, suggerendo almeno condizioni aerobiche periodiche del fondale.

lunedì 9 maggio 2016

La notte dell' #Orcolat


40 fa avveniva il terremoto del Friuli, un terremoto che ha cambiato molte cose. Nello studio della sismologia, nella gestione delle emergenze, nelle costruzioni edili, nella comunicazione delle catastrofi. Inoltre è stato un esempio per tutti, la compostezza dei friulani, che si sono rimboccati le maniche e hanno ricostruito. Per non dimenticare. Qui un approfondimento INGV sul tema.

venerdì 25 marzo 2016

#DissestoItalia - dossier 2015

Presentato il Dossier ISPRA sul Dissesto Idrogeologico in Italia, aggiornato al 2015. emerge ancora come l'Italia sia tra i paese Europei con maggiore rischio di dissesto idrogeologico, sia per rischio  frane (7,9% superficie coinvolta - solo lo 0,6% in Veneto) che per rischio idraulico (8,1% superficie a rischio su base nazionale e ben il 9,6% inambito Veneto). Tra l'altro il Veneto è nel gruppo di regioni che relativamente al rischio alluvioni vanta il maggior numero di attività produttive e beni culturali in zona di forte rischio, ciò fornisce un ulteriore spunto di riflessione quando si discute in termini di "costi" del dissesto, e sulla necessità di interventi capillari nel territorio.
Se andiamo poi a combinare il rischio di frana con il rischio idraulico rileviamo circa il 10,1% della superficie regionale è a rischio, ma che i comuni toccati sono ben 374 (su 581), ciò indica come il rischio sia diffuso, anche a causa dell'intensa pressione antropica presente nella nostra regione. Su base nazionale il 15,8% della superficie è a rischo dissesto con 7.145 couni interessati (su 8.092). Ben presente anche il rischio erosione costiera. Tra il 2000 e il 2007 il 37% dei litorali italiani ha subito riduzioni di oltre 5m. E i tratti di costa in erosione sono maggiori di quelli progradrazione (in "crescita"). In ambito veneto tale dato sale al  39,2%, con 25,3% della costa a ulteriore rischio erosione.
Insomma il quadro che ne emerge è decisamente preoccupante, sopratutto perché non appare evidente che chi pianifica lo sviluppo del territorio ne abbia consapevolezza. E non sembra ancora mautrata appieno una consapevolezza sociale sul tema. Discutendo di sicurezza degli argini, con alcuni esperti olandesi, siamo rimasti colpiti di come il tema sicurezza e gestione di questo tipo di tematiche sia particolarmente sentito dall'intera società, tanto che gli organi d'informazione molto spesso danno notizie circa gli interventi o le scelte che riguardano questi temi. Da noi risulta chiara che se ne parla solo in occasione di eventi calamitosi, al massimo in articoli di cronoca locale. Manca ancora una chira coscienza civile del territorio.

venerdì 18 marzo 2016

Collegato Ambientale, Dissesto Idrogeologico e Difesa del suolo, oltre le buone intenzioni

Il 18 gennaio 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale la Legge n.221 del 28 dicembre 2015, il cosiddetto "collegato ambientale", Ma collegato a cosa? Alla Legge di Stabilità (la vecchia Finanziaria), del 2014. Come hanno osservato molti commentatori molto più autorevoli di noi, la legge introduce importanti elementi di novità, ma con una certa disorganicità, intervenendo su vari campi, dai rifiuti alla green economy, dal dissesto idrogeologico alla tutela delle acque, apparentemente senza  un chiaro disegno strutturato e sopratutto rimettendo mano al TU Ambiente, il D. Lgs 152/06, testo che ormai, ogni anno riceve più di un significativo adeguamento. L'instabilità del quadro normativo non è certo utile per di difesa del territorio che vogliano avere una prospettiva di medio respiro almeno. Andiamo a vedere cosa si dice in merito al dissesto idrogeologico e alla difesa del suolo e delle acque:
  • si istituiscono, finalmente, allinenandoci al quadro europeo, in particolare alla direttiva Alluvioni, le Autorità di Bacino Distrettuale, che vanno a sostituire le esistenti Autorità di Bacino,  detti organi avranno numerose competenze per la mitigazione del rischio alluvioni, la difesa del suolo e la riduzione del dissesto idrogeologico, sia in termini di pianificazione che di intervento, con un autorità anche sovra regionale, riuscendo così, si spera, a elaborare interventi che tengano conto delle dinamiche territoriali su scala più ampia, consentendo vere riduzioni di rischio e non semplicemente spostamenti da un territorio all'altro.
  • viene istituito un fondo per incentivare la demolizione delle costruzioni abusive in zone a riconsciuto rischio idrogeologico. 
  • viene istituito anche un fondo per la progettazione d'interventi atti a prevenire il dissesto idrogeologico.
  • viene eliminato il "silenzio assenso" relativamente alle pratiche edilizie per manufatti in zona con vincolo di tutela per rischio idrogeologico.
  • viene introdotto nel TU Ambiente la nozione di "contratto di fiume", ossia di quegli accordi di programma per la tutela dei bacini fluviali, sono strumenti su base volontaria di partecipazione, che coinvolgono enti, cittadini e portatori d'interesse nella gestione dei corsi d'acqua con finalità di recupero, valorizzazione , protezione dell'ambiente, uso sostenibile delle acque e mitigazione del rischio alluvioni.
Complessivamente si introducono elmenti utili nelle attività di recupero del territorio e si danno chiare volontà di voler destinare risorse reali per la riduzione del dissesto idrogeologico, resta da capire se ciò sia un "una tantum" o indichi una precisa svolta nelle politiche di gestione del territorio. Resta evidente però, che un intervento normativo strutturato, che renda più chiari gli indirizzi, più efficaci gli strumenti e sopratutto meno farraginosa e elefantiaca la norma stessa è assai lungi da venire.

mercoledì 2 marzo 2016

Allarme Geologi



                                          Comunicato Stampa
Fagioli : “In 4 anni il numero dei docenti in Geologia è crollato del 15%”.

Fragale : “A 50 anni dalla legge istitutiva la politica italiana non ha ancora compreso il valore sociale e le reali potenzialità del geologo.  A Napoli stileremo un documento finale con proposte mirate al riconoscimento del ruolo cardine del geologo nella tutela degli interessi dei cittadini e dello Stato”.

 La geologia accademica italiana è a serio rischio di estinzione: di 29 Dipartimenti ne sono rimasti solo 8,  il numero dei docenti che devono formare le nuove leve negli ultimi 4 anni si è ridotto almeno del 15%.  La riforma “Gelmini” con la sua filosofia mercatistica di ”risparmio degli sprechi e miglioramento” basati solo sulla quantità, ha pesantemente colpito aree numericamente di nicchia, quale la geologia, in totale spregio dei suoi insostituibili ruoli per l’interesse per la collettività. Lo ha affermato il Presidente dell’Ordine dei Geologi della Toscana , Maria Teresa Fagioli . L’evento di Napoli , il Congresso Nazionale di tutti i geologi italiani , dovrà rappresentare una svolta politica epocale per l’Italia e per l’intera categoria dei geologi .  Un Congresso voluto dal Consiglio Nazionale dei Geologi e dagli Ordini regionali per imboccare il percorso decisivo.
A tutt’oggi il Decreto definito “salva geologia” che doveva rimediare a questa tortura – ha denunciato Fagioli -  è fermo in Parlamento: l’argomento non sembra interessare.
Negli ultimi anni,  con l’evoluzione del clima caratterizzata dal riscaldamento globale e da piogge concentrate fino a due decenni fa ritenute eccezionali, abbiamo assistito ad una crescita esponenziale di dissesti e disastri che hanno coinvolto e coinvolgono pesantemente pressoché l’intero territorio nazionale; tutti, almeno a parole, sono d’accordo nel sostenere che servono geologi e  per il geologo sono, o è meglio dire dovrebbero essere, cresciute le occasioni di lavoro.
Al contrario, con atteggiamento che potremmo definire schizofrenico, la macchina politico burocratica che gestisce la cosa pubblica, i geologi sembra sistematicamente snobbarli o sottoutilizzarli, siano essi liberi professionisti o dipendenti della cosa pubblica stessa.
A ciò si aggiunge la marginalizzazione degli insegnamenti delle scienze geologiche nelle scuole secondarie di secondo grado, dove le nozioni di base di Scienze della Terra sono state ridotte a poche “pillole” limitate nei soli primi due anni e disperse tra concetti di biologia e chimica all’interno del solo ambito formativo delle “Scienze”. Una simile decimazione culturale, se non si interviene, produrrà la rapida contrazione delle opportunità di lavoro per il geologo, soprattutto in ambito libero professionale.
Il problema di fondo è che la maggioranza dei nostri politici e pubblici amministratori semplicemente ignora ruolo, compiti e potenzialità della professionalità dei geologi, e le generazioni oggi in età scolare rischiano di saperne sempre meno.

“La legge istitutiva della professione del geologo risale a ben 50 anni fa e da allora la politica non ha ancora compreso il valore sociale e le reali potenzialità  di tale figura . Gli obiettivi del Congresso di Napoli  - ha concluso Francesco Fragale , Presidente dell’Ordine dei Geologi della Calabria -  saranno anche quelli di consolidare e strutturare gli attuali ambiti occupazionali della professione, evidenziare la possibilità di coprire nuovi settori lavorativi, individuare strategie per indirizzare la professione verso le richieste del mercato formulando proposte normative da sottoporre all’attenzione della politica. Stileremo un documento finale contenente proposte mirate al riconoscimento del ruolo cardine del geologo nella tutela degli interessi generali dei cittadini e dello Stato, fondamentale per la crescita economica del Paese, attraverso anche l’avvio di efficaci attività collaborative con le istituzioni”. Il 28 , 29 , 30 Aprile centinaia di geologi a Napoli per il Congresso Nazionale .


domenica 28 febbraio 2016

#AppuntisemiseridiPaleontologia 6: Elegantemente crinoidi

Presentiamo i Crinoidi, gruppo di organismi marini, tuttora esistente, che vede la luce nell’Ordoviciano (i milioni di anni non ve le dico più, andate a vedervi la tavola del tempo geologico, presentata illo tempore). Intanto, i Crinoidi nella classificazione tassonomica fanno parte del gruppo di invertebrati del tipo Echinodermata, sono primi cugini dei ricci di mare, sottotipo Pelmatozoa che raggruppa le forme prevalentemente fisse (ciò non mobili), la Classe Crinoidea, si divide in 4 sottoclassi, Camerata, Inadunata, Flexbilia eArticulata, le prime tre compaiono nell’Ordoviciano, hanno un’amplissima diffusione, ma ad inizio Mesozoico, nel Triassico, spariscono bruscamente, vittime di una delle grandi estinzioni di massa della storia terrestre, quella avvenuta a fine Permiano appunto, che segna anche la fine del Paleozoico, in questa estinzione ci lasciano le penne soprattutto le forme fisse, quelle peduncolate. Gli Articulata compaiono proprio in questo momento, si diffondono nel Mesozoico e sono tuttora presenti, dal mesozoico in poi le forme libere, cioè non fissate al substrato con peduncolo, divengono prevalenti. Ma vediamo di capire cosa sono questi Crinoidi (nella foto Arthroacantha carpenteri, Devoniano,  fonte Paleoportal). Sono organismi marini, dotati di un stelo, che può avere un sezione da circolare a stellata, un apparato radicale per fissarsi al substrato (nelle forme fisse, non c’è nelle forme mobili, non vincolate al fondo), che può essere fatto come delle radici vere o proprie, o come un’ancora o un chiodo, vi è poi sopra questo la corona, dove troviamo la teca, che ospita, di fatto, buona parte del “corpo” dell’organismo, ossia l’apparato boccale e anale (talora i due orifizi sono pericolosamente vicini) e le braccia che spesso hanno numerose diramazioni, alla base di queste c’è il tegmen, ossia l’area ventrale dell’organismo dove, appunto, risiedono la bocca e l’ano. Va detto che i crinoidi sono completamente ricoperti da piastrine calcare, la cui disposizione (forma, mosaico, numero di giri) è assai importante nell’identificazione specifica. Ornamentazioni particolari, possono essere spine sullo stello, o i cirri, diramazioni dello stello piumiformi o le pinnule, diramazioni piumiformi delle braccia. Questi organismi sono sessili e si nutrono del materiale organico in sospensione nelle acque. Sono piuttosto delicati nella scelta delle temperature e della salinità, per cui sono anche buoni indicatori nelle ricostruzioni paleoambientali, hanno colonizzato habitat sino a 6mila mt di profondità. Non vi tedierò, non sono così sadico, sulla classificazione stretta, basata sui giri di placchette calcaree della teca, cosa che all’università mi appassionava, però, val la pena dire che le placche costituenti l’esoscheletro di questi organismi, a testimonianza dell’abbondanza che questi dovevano avere, sono elementi assai abbondanti in vari membri (è un termine tecnico non fate doppi sensi infantili) rocciosi di formazioni carbonatiche, tanto che alcune vengono appunto definite Encriniti, per la massiccia presenza di resti di crinoidi. Mi par di ricordare tra le tante l’encrinite di Fanes. Alla prossima.

domenica 14 febbraio 2016

#AppuntisemiseridiPaleontologia 5: Aptici e rimembranze

Durante alcuni bagordi nel mesozioco feltrino, nelle fumose notti di sbornia mi è venuta l'ispirazione per il nuovo ospite fossile. Su sulle Vette Feltrine al rifugio Dal Piaz, ho potuto rivedere dei vecchi amici, la collezione mineralogica-petrografica-paleontologica dei campioni raccolti in quelle zone dal mitico professor Braga. Tra questi c’era un bel camione di calcari ad Aptici. E cosa sono gli Aptici (nella foto sotto – fonte internet)?  Ottima domanda. Anche se ancor oggi una risposta univoca ancora non c’è. Ma andiamo con ordine. Gli Aptici sono placche calcare o cornee, convesse, di forma subtriangolare, talora si rinvengono singole, talora doppie con saldatura centra, spesso sono stati ritrovati associati a gusci di ammoniti (cefalopodi con guscio spiralato, du you remember?), ma il più delle volte si ritrovano da soli nel sedimento. Costituiti di materiale calcitico, organizzato in una struttura piuttosto complessa, si classificano a seconda delle ornamentazioni e della forma, oltre che a seconda se trovati singoli (se ovale o subtriangolare) – Anaptychus,  doppi, ma simmetricamente associati Aptychus, doppi e saldati –Synaptychus.  A cosa servivano gli Aptici… ecco il problema non è chiara la loro funzione, poiché le volte in cui si sono trovati gusci di ammoniti associati a questi (solitamente si trovano nella camera finale, dove spuntava l’animale) hanno dato luogo a interpretazioni contrastanti. Sostanzialmente 2 sono oggi sul campo: la prima li vuole degli “opercoli”, ossia porte di chiusura del guscio, ovverosia le ammoniti potevano ritrarsi nel guscio e letteralmente “chiudere la porta in faccia” a eventuali predatori, insomma una specie di boccaporto, oppure servivano a masticare, tipo il becco degli odierni polpi e seppie. Ammetto che propendo per la seconda ipotesi, ovverosia che fossero la “dentiera” delle ammoniti. I campioni che ho visto su al rifugio Dal Piaz (1999m s.l.m.m.), provengono dalla formazione di Fonzaso, formazione rocciosa che prende il nome dall’amena località bellunese, databile al Giurassico superiore, circa 150mln anni fa, che sulle Vette Feltrine arriva ad avere uno spessore di 100m, si trova tra la formazione del Rosso Ammonitico Inferiore e il Rosso Ammonitico Superiore (quest’ultima è quel “marmo” rosso a noduli, assai tipico in molti pavimenti o pianali), è una formazione prevalentemente calcarea (roccia di Ca CO3) color grigio, con vario contenuto fossilifero (fossili marini, soprattutto invertebrati) e sono presenti spesso, soprattutto nella parte bassa della formazione, liste di selce (la pietra dei primitivi..) marrone, mentre nella parte superiore vi sono elementi più marnosi, tra cui appunto gli “”Scisti ad Aptici” livelli laminati ricchi dei fossili testé descritti.  Alla prossima.

sabato 30 gennaio 2016

#AppuntisemiseridiPaleontologia 4: Orthoceras, cefalopodi e e paleocorrenti

Nei mari del passato i brutti incontri erano all'ordine del giornio. Andiamo a conoscere alcune delle brutte compagnie che giravano per i mari del Paleozoico, siamo precisamente nell’Ordoviciano (500-435 mln di anni fa), l’atmosfera fuori dall’acqua sta diventando via via più respirabile, grazie all’ossigeno liberato in aria dalle alghe fotosintetiche e successivamente alla vegetazione terrestre, le terre emerse sono meno inospitali, ma ciononostante la vita si svolge ancora per lo più nei mari. È ormai iniziata la corsa evolutiva agli armamenti, con la comparsa di prede e predatori sempre più elaborati.  Nell’Ordoviciano c’è un gruppo in particolare a farla da padrone, sono gli Ortoconidi o Orthoceras, cefalopodi (lo stesso gruppo di seppie e polpi) muniti di conchiglia (cugini degli attuali nautiloidi, quei cefalopodi con guscio  a “chiocciola” che ogni tanto fanno capolino in qualche documentario), che sono stati un gruppo assai importante nell’Ordoviciano e nel Siluriano (anch’essi buoni fossili guida) e poi hanno conosciuto un lento declino, sino a estinguersi nel Triassico, poiché soppiantati da altri gruppi animali. Gli ortoconidi raggiungono dimensioni notevoli (dell’ordine dei metri) ed erano sicuramente un brutto incontro da fare… specie se eravate un trilobite… i cefalopodi in generale sono molluschi assi complessi, con un sistema nervoso molto sviluppato, e occhi molto elaborati, segno che la vista era un organo importante e che i mari ormai si erano popolati di colore. Le conchiglie degli ortoceratidi erano fatte di calcite (CaCO3), con la tipica forma ortoconica, ossia a cono gelato, al cui interno vi erano vari setti che dividevano le camere che ospitavano il corpo del cefalopode, camere che s’ingrandivano al crescere dell’organismo. Un camera era separata dalle altre dalle linee di sutura, tipiche per ogni specie. Gli ortoceratidi erano carnivori predatori. Negli studi tafonomici (ossia lo studio dei processi che vanno dalla morte dell’organismo alla sua fossilizzazione, ossia dal trasferimento di materia dalla biosfera alla litosfera) i gusci di ortoceratidi possono fornire indicazioni piuttosto interessanti, infatti, se non si frantumano essi tendono a orientarsi secondo la corrente dominante (una volta decompostesi le parti molli), se ve n’è una,  permettendo così ai paleontologi di poter ricostruire le paleocorrenti, ossia le correnti dominanti nei mari in cui quegli organismi vivevano, consentendo così importanti ricostruzioni paleoambientali.
Nella foto (fonte internet) potete appunto vedere gusci di ortoceratidi isoorientati.

domenica 10 gennaio 2016

#AppuntisemiseridiPaleontologia 3: Trilobiti of course

In una rassegna su gruppi importanti di organismi fossili, non si può non parlare di  Trilobiti (nel disegno un Trilobite del genere Olenus in una ricostruzione, fonte internet), gruppo che mi consente anche d’introdurre due importanti concetti paleontologici, quello del fossile guida (che non è un fossile per ciechi) e quello di evoluzione per equilibri intermittenti (che non si riferisce alla mia stabilità mentale), di cui vi dirò a breve. I trilobiti sono un gruppo di artropodi (di cui fan parte Crostacei, Insetti, Ragni… tanto per capirci) abbondantemente distribuito in tutto il Paleozoico, con un numero molto importante di generi e specie. Di dimensioni variabili dai 3 ai 15 cm, con guscio formato da uno strato mineralizzato e uno chitinoso (assai simile a quelli degli attuali crostacei)  questi artropodi sono così detti per la forma del loro capo ripartito in tre parti (la parte centrale è detta glabella, le due lateraligena), nel corso della loro presenza sulla Terra si sono diversificate in molte forme, talune assai  bizzarre (presenza di spine laterali, occhi enormi…) questo perché i trilobiti si diffusero in vari habitat: furono bentonici (passeggiavano per i fondali) o nectobentonici (ogni tanto si facevano una nuotata). Alla fine del Cambriano, una profonda crisi segna il gruppo, forse associata alla comparsa dei cefalopodi predatori, cui segue una nuova diffusione di nuove forme, fino al  termine del Permiano (ca. 250mln anni fa), quando i Trilobiti (in buona compagnia) scompaiono del tutto. I Trilobiti presentano una peculiarità importante, si diversificano in molte forme, ben riconoscibili e per intervalli cronologici ben definiti, questo fa sì che essi siano importanti fossili guida del Paleozoico, avendo ampia diffusione geografica, e netta presenza temporale (caratteri da fossile guida), il loro ritrovamento è utilissimo strumento per datare e correlare temporalmente le successioni rocciose del Paleozoico, operazione fondamentale nella ricostruzione della storia della Terra. Inoltre ci hanno lasciato un sacco di documentazioni sulla loro etologia: tracce di camminamento, resti di esemplari appallottolati (posizione difensiva a mo’ di millepiedi),  exuvie fossili (i resti delle mute del carapace), indicanti che avevano mute periodiche come i crostacei d’oggi, elementi che permettono anche ricostruzioni paleoambientali significative. La diffusione dei trilobiti e la loro rapida evoluzione, fa sì che essi siano al centro anche di importanti studi per la comprensione dei meccanismi dell’evoluzione, tutt’altro che svelati. Negli anni ’70 in alternativa alle teorie classiche di derivazione darwiniana (Evoluzione = lento e continuo processo di mutantento) i paleontologi evoluzionisti Eldredge e Gould (autori di importanti e godibilissimi saggi sul tema) proposero la teoria degli equilibri punteggiati, ossia sostennero questo assunto, che le nuove specie si evolvono dalle ancestrali in modo repentino, geologicamente istantaneo, presentandosi di fatto già con le proprie piene caratteristiche, che rimangono sostanzialmente inalterate  (periodo di stasi o equilibrio) fino all’estinzione o a nuove speciazioni, comparendo in aree marginali dell’areale della specie ancestrale e andando poi a occupare lo spazio di quest’ultima. In tal modo i due studiosi spiegavano l’assenza in varie linee evolutive dei cosiddetti “anelli mancanti” (tranquilli no gà robà gnente nessun), il fatto che spesso talune migliorie evolutive o compaiono già sviluppate del tutto o non servono a un picchio (pensate alle ali), diversamente da quanto detto dall’evoluzionismo classico, e il fatto che talora vi sia compresenza nel record fossile dei resti della specie ancestrale e della derivata (nella teoria filetica, la classica, teoricamente ciò non dovrebbe accadere). E i trilobiti? Beh un genere Phacops Rana (nella foto di gruppo sotto, fonte internet), diffuso in nord america nel Devoniano medio e superiore (380-360 mln anni fa) fu usato come esempio per suffragare tale teoria,  poiché appunto presentava ritrovamenti di compresenza tra specie derivate e ancestrali.

sabato 26 dicembre 2015

#AppuntisemiseridiPaleontologia 2: Graptoliti e i limiti dell'intelletto...

I graptoliti (nell’immagine foto di fossile del genere Monograptus – Geinitz – Siluriano Medio, fonte internet), simpatico gruppo di organismi, vissuti tra il Cambriano medio e il Carbonifero inferiore (grosso modo tra 525 e 330 milioni di anni),  sono un gruppo fossile piuttosto importante soprattutto nel riconoscimento delle successioni rocciose del Cambriano medio, Ordoviciano e Siluriano e piuttosto enigmatici, poiché non hanno discendenti attuali, ne vi sono organismi similari. Ricordo che quando li studiai all’Università mi lasciarono al quanto perplesso, e la domanda ricorrente che mi ponevo era:ma come xei fatti sti bogia de Graptoliti…
I Graptoliti compaiono sulla Terra, quando la vita si svolgeva totalmente in mare, la terra emersa era un postaccio, atmosfera da ascelle sudate, sole a picco, manco uno straccio d’ombra, esalazioni varie, vulcanismo a go go, insomma non certo una meta turistica attraente, molto meglio i mari, che cominciano a popolarsi anche di organismi poco rassicuranti, ma dove per lo meno non ti prendevi la “soana”, i Graptoliti assistono nel corso della loro evoluzione, inconsapevoli, allo “sbarco” sulle terre emerse, di organismi vegetali prima, artropodi poi. Ma veniamo a una loro descrizione, sono organismi unicellulari marini (traevano sostentamento dai nutrienti  in sospensione) coloniali, (tipo Stomochorda – sottotipo Graptolithina, sono divisi in almeno 5 ordini), con guscio chitinico (la chitina è la stessa sostanza dell’esoscheletro degli insetti per capirci), ogni individuo viveva in un piccolo alloggiamento (detto teca), disposto in un'unica fila o doppia lungo collegate da uno stolone (filamento) proteico, originando così il “ramo” (propriamente dettorabdosoma) della colonia. Le colonie potevano essere molto ramificate, solitamente i rabdosomi si attaccavano a corpi galleggianti, così che la colonia fluttuando, se ne poteva andare a spasso nei mari del Paleozoico inferiore… di cui presto vi presenterò qualche abitante decisamente poco raccomandabile. Questi in sintesi i Graptoliti… di cui ancor oggi mi chiedo: ma come xei fatti sti bogia….

sabato 12 dicembre 2015

#AppuntisemiseridiPaleontologia 1: Pygope tra ontogenesi e erotismo

Inizia oggi una serie di interventi, a fine ludico didattico, a tema Paleontologico, per conoscere gruppi tassonomici e aspetti evoluzionistici. I fossili  hanno enorme importanza nella comprensione del funzionamento della vita sulla Terra e non  sono semplici oggetti di un vuoto collezionismo, o un lezioso passatempo. Ognuno di essi di racconta qualcosa, sulla storia della vita e, a volte, anche della nostra personale, uno mi è particolarmente  simpatico, perché è legato ad un aneddoto dei miei anni universitari, che farà, forse, ancora sorridere i miei compagni di allora presenti al fatto. Il fossile è un brachiopode (invertebrati con guscio a due valve, che vivono fissati sul fondo marino con un peduncolo carnoso che gli esce da un foro sul guscio, sulla Terra, con alterne fortune,  dal Cambriano - 590 mln di anni fa - tutt'ora esistenti), del genere Pygope (nella foto Pygope janitor, fonte internet - presente sulla Terra a cavallo tra il Giurassico superiore e il Cretaceo inferiore - a spanne tra i 150 e i 120 mln di anni fa). Questo genere di brachipode ha un curioso foro nel mezzo del guscio. Ed è un'esempio classico della legge di ricapitolazione di Haeckel del 1866, la cosiddetta ontogenesi (la crescita dell'individuo, non la nascita degli onti...) che ricapitola la filogenesei (l'evoluzione delle specie), studiando infatti fossili coevi di Pygope, che rappresentavano individui in diverse fasi di crescita, si è visto come questi ricalcassero il percorso evolutivo del genere, che aveva visto il progressivo accentuarsi della bipartizione del guscio e successiva richiusura con formazione di foro centrale (altro esempio di tale legge lo abbiamo se osserviamo gli stadi di sviluppo dell'embrione umano). Ecco questo è Pygope, in soldoni, il fatto simpatico cui è legato, avvenne il giorno in cui il nostro professore di Paleontologia all'Università, uomo che non si potrebbe definire molto affabile (almeno con gli studenti...), tentò simpaticamente d'introdurre la presentazione di questo fossile... ci chiese di non scandalizzarci di fronte ad esso, per via della forma che a suo dire n'evocava in maniera troppo immediata e evidente un'altra, assai procace, ma sopratutto peccaminosa, ci disse sottovoce, che esso raffigurava il fondoschiena (usò un termine più esplicito, ma per rispetto dell'istituzione edulcoro le parole) di una prostituta nigeriana. Qualcuno tentò il sorriso, ma in più d'uno ci chiedemmo: ma che frequentazioni ha quest'uomo.... e sopratutto, ma perché proprio di nigeriana (il perché fosse di prostituta ci era, invece, abbastanza ovvio...)?

venerdì 20 novembre 2015

WE WANT YOU!


il Reggipoggio cerca collaboratori! 
Hai la passione per la scrittura? Ti piace approfondire temi ambientali, conoscenza del territorio, Scienze della Terra? Vorresti organizzare momenti divulgativi sulle Geoscienze? Vuoi uno spazio dove poter darti da fare? Il Reggipoggio cerca collaboratori, che vogliano dedicare un po' del loro tempo alla divulgazione e all'approfondimento!

Se sei interessato scrivici su: ilreggipoggio@gmail.com

venerdì 31 luglio 2015

Rapporto sul disseto idrogeologico in Italia

Il Veneto è, come noto, una regione a Geologia complessa e questo fa sì che molteplici siano i rischi derivati dal fenomeno del dissesto idrogeologico, non a caso una delle principali voci di spesa per la Regione è data dai fondi spesi per riparare di volta i volta i danni da frane, alluvioni, etc etc. Questo risulta evidente nel Rapporto di sintesi sul dissesto idrogeologico in Italia, elaborato dall'ISPRA, aggiornato al 2014 e presentato nei primi mesi del 2015. Rapporto che potete trovare sul sito istituzionale dell'ISPRA per avere un quadro più dettagliato. Da esso emerge bene, sopratutto osservando la cartografia, come il rischio frane sia ovviamente tipico della fascia montuosa e collinare del Veneto, mentre il rischio alluvione sia peculiare della bassa pianura. L'intera zona a sud del Po, quindi, tutto il Polesine, è a pericolosità massima (P3), ovverosia esposta a rischi alluvionali da eventi con tempi di ritorno da 20 a 50 anni. La popolazione Veneta esposta al rischio frane è di circa 14.919 abitanti e di ben 440.603 per il rischio alluvioni, ricordiamo che la popolazione complessiva è di poco superiore ai 4 milioni e 900mila abitanti. Per le frane vi è un interessante progetto di  monitoraggio in corso, il progetto IFFI, che consta in una cartografia sempre aggiornata su tale fenomeno, con un inventario costante dello stato delle singole frane, corredato anche di documentazione fotografica. Più complessa è la situazione del rischio idraulico, dove la mappatura è più articolata. Tali rapporti sono disponibili in rete e l'auspicio è che siano patrimonio usato da chi si occupa di riduzione del dissesto del territorio, in modo che gli interventi siano mirati, ma anche di chi si occupa di pianificazione urbana e infrastrutture, affinché non si vada ad aumentare i rischi da dissesto, anziché ridurli.


venerdì 10 luglio 2015

8 luglio 2015. il giorno del Tornado

Tornado 8 luglio 2015 - Riviera del Brenta (VE) - fonte internet
Sembra incredibile quello che è successo nel nostro Veneto  l'8 luglio. Un tornado ha colpito il territorio della Riviera del Brenta, tra i comuni di Mira, Dolo, Pianiga, in provincia di Venezia, con un pesante bilancio. Milioni di euro di danni, case e ville storiche abbattute, centinaia di sfollati, decine di feriti e un morto. Il paesaggio sembra da post bombardamento, case rase al suolo, tralicci dell'alta tensione abbattuti, alberi sradicati, auto scagliate in canale, accartociate. Sono immagini che noi siamo abituati a vedere per zone lontane, negli USA o ai Tropici. Cosa è successo? Un Tornado classe EF4, secondo la  scala di misura delle intensità di questi fenomeni, che si chiama   Enhanced Fujita  e che, tanto per intenderci sulla dimensione del fenomeno in questione, di gradi ne ha 5, ha investito verso le ore 17:00 dell' 8 luglio i territori rivieraschi. Numerosi i  video che hanno documentato l'accaduto e i suoi danni.
La formazione delle trombe d'aria è un fenomeno complesso, non ancora completamente descritto, che in ogni caso è generato dall'incontro di masse d'aria calda, ricca in umidità, in risalita, con masse d'aria fredda secca, durante eventi temporaleschi di una certa intensità, la risalita dell'aria calda spinge via la fredda, generando delle correnti ascensionali, che a loro volta si mettono in rotazione, più grande è la cella temporalesca, più alta è la probabilità di tornado intensi. Il fenomeno è tipico delle pianure dell Mississipi negli USA, dove d'estate la piana è un bacino di aria calda e umida. Ambiente di cui in piccolo la Pianura  Padana ricalca talune carratterititche, non è un caso se fenomeni di tromba d'aria, per lo più a mare, saltuariamente avvengono nella zona del Veneziano, storicamente risultano 3 eventi noti: uno nel 1930, uno nel 1970 e quello del 2015, con forti danni in terraferma. E' disponibile un esaustivo  approfondimento sul sito ARPAV, relativamente all'evento dell'8 luglio.



martedì 7 luglio 2015

Paleontology rules

Mi spiace per il coautore di questo blog, il mio buon amico Andrea, ma purtroppo per lui, anche quest'anno si dovrà sciroppare un sacco di Paleontologia. Volente o no. L'uscita di Jurassic World, remake di Jurassic Park- certo che a Hollywood la fantasia scarseggia ultimamente - fa si che vi sia  un profluvio di discussioni sui dinosauri  e sulla Paleontologia in generale. Certo dobbiamo stare attenti alla trasformazione di quella che è una Scienza, e che Scienza, in un fenomeno da baraccone, trattato con superficialità e sciatteria, il film è solo un film, pieno di, diciamo, "licenze" cinematrografiche, e non va usato come corso breve di Paleontologia dei Vertebrati, può essere spunto per trattare temi scientifici o usato come volano per rilanciare temi paleontologici, ma va visto per quello che è: svago e basta. La Paleontologia è altro. Quest'anno la Paleontologia Italiana conosce due momenti espositivi importanti, che vanno valorizzati per la loro innovatività nel panorama italiano e che  devono essere occasione di dibattito scientifico e riflessione sulla stato di questa disciplina nel nostro paese. Il primo è la mostra in corso a Palazzo Dugnani a Milano - che visiteremo certamente - sullo Spinosaurus . Dinosauro agli onori della cronaca per nuove importanti scoperte sulla sua fisiologia, conseguite anche con l'importante contributo di ricercatori italiani. L'altro è la mostra sul mosasaurus che si terrà in autunno a Bologna in occasione della Settimana delle geoscienze e di cui parleremo prossimamente.Tali eventi espositivi sono occasione per portare in Italia i big della Paleontologia mondiale. E, infatti, in questi giorni, a latere della mostra milanese c'è stata una conferenza di Jack Horner., avente tema le "bardature" dei dinosauri. L'uomo è una "Paleostar", professore all'Università del Montana, fu tra i primi a capire che i dinosauri potevano fornire cure parentali ai propri cuccioli. E' molto personaggio, lui e Bob Bakker, altra star del settore, sono il classico incrocio tra Indiana Jones e James Cook, a loro s'ispirò Crichton per il personaggio del Paleontologo di JP. E prorio Horner è stato anche tra i consulenti di Spielberg per Jurassic Park e, fortunatamente, lo ha fatto specificando che il film è appunto un film per divertire e non un documentario. Per cui - parole testuali - è zeppo d'errori.  Horner è tra i più convinti sostenitori dello stretto legame parentale tra dinosauri e uccelli attuali, per altro ormai assodato, tanto da spingerlo a "ridisegnare" i dinosauri, rendendoli assai più simli agli uccelli nelle movenze, nel colore e nel "piumaggio". E' probabile, secondo Horner - concetto che ha ribato anche a Milano - che i dinosauri apparissero ben diversi da come sino a oggi li abbiamo rappresentati - e da come Hollywood ancora li propina. Ma siamo pronti a un Velociraptor piumato e multicolore che si comporta come un grosso pollo?
Vi lascio con un bel video - in inglese - in cui il professor Horner illustra la sua posizione, da notare lo stile delle conferenze negli USA, diciamo che sono lezioni più accattivanti di quelle tipiche dei nostri atenei - un po' più teatrali. D'altronde quando uno ormai è una Paleostar, se lo può permettere.




domenica 14 giugno 2015

Geologia della Marca

Carta dei Suoli prov. TV - fonte ARPAV.
Presentata il 5 giugno scorso la carta Geomorfologica della Provincia di Treviso, a breve disponibile on-line sul geoportale trevigiano. siamo stati alla presentazione e non possiamo non essere soddisfatti. Va riconosciuto a diverse Province venete, di aver fatto un grande sforzo con i loro uffici di produzione di importante documentazione sulla conoscenza del proprio territorio. La carta Geomorfologica della Provincia di Treviso, unita a quella di Venezia consente di avere un significativo quadro conoscitivo generale, rilevando gli aspetti morfologici, geologici, archeologici e d'interazione antropica. Altro aspetto che ci compiace assai è che questi lavori nascono da una fattiva collaborazione tra enti, operatori economici-finanziari (la Cassamarca nel caso trevigiano) e Università, in questo lavoro ben rappresentata la nostra Patavina, con i Professori Bondesan, Preto, Meneghel (citiamo quelli visti in sala... ce li ricordavamo meno grigi, però) e gli altri che hanno collaborato - segno che se si vuole, l'Univerisità si sa  aprire e sa dare un contributo forte nella produzione di conoscenze e di applicazione delle medesime.
La Carta Geomorfologica della Provincia di Treviso, ha, in primis, un valore culturale, poiché fornisce un quadro di conoscenze organico del territorio e del paesaggio, permette di comprendere il perché di alcune forme e dell'importanza di alcuni siti. Vi è poi il valore, per l'appunto, di tutela ambientale, avere contezza delle peculiarità di taluni siti, è elemento imprescndibile per poterne avere cura e vi è, infine, l'aspetto più rilevante: tale documento deve diventare patrimonio di tutti, dei tecnici, delle istituzioni e dei cittadini. Deve essere strumento di partenza per la pianificazione territoriale, pianificazione che non deve ripere gli errori del passato, ossia urbanizzazioni realizzate senza curarsi delle caratterisitche  dei luogni, pratica che ha portato oggi a confrontarsi con degrado ambientale e georischi. Ecco perché conoscere gli aspetti del proprio territorio è fondamenale, ci auguriamo che vi siano occasioni per divulgare tale carta e che le amministrazioni locali trevigiane si svorzino di approcciarvi, vista anche la chiarezza espositiva del testo, che lo rende accessibile anche ai non geologi. E' ovviamente anche il mondo tecnico - professionale, se se lo studia, male non fa.

venerdì 5 giugno 2015

Non é un paese per Geologi... o forse sì?

Le Geoscienze, in Europa, qualche colpo pare lo battano; é di questi giorni l'uscita on-line di un Opuscolo predisposto dalla Società Geologica Inglese, tradotto in italiano con la collaborazione del Consiglio Nazionale dei Geologi (CNG), che ha lo scopo di ripercorrere i molti campi di pertinenza delle Scienze della Terra e le poliedricità del ruolo dei Geologi. Il pamphalet (spero si scriva così) ricorda quello elaborato qualche tempo fa dalla Società Geologica Italiana - La Geologia per l'Italia - a cui avevo dedicato un mio personale commento. Ovviamente qui le riflessioni sono in chiave Europea. Ritengo particolarmente utile sottolinerare le ultime pagine che esprimono alcuni concetti chiave. Il primo è la difficoltà quotidiana del geologo di dover lavorare su modelli spesso incompleti e  talora incompletabili e su questi fare ipotesi e previsioni, avendo poi la difficoltà di comuncare senza che, invece della complessità del processo previsionale, venga percepito un certo qual senso d'imprecisione o d'incapacità di dare elementi concreti. 
Vi è poi una riflessione sulla necessità di rendere più aderenti i programmi universitari alle esigenze tecniche odierne e dotare di adeguati supporti finanziari la ricerca nei vari campi delle geoscienze. Ecco, qui la domanda sorge spontanea, nel tradurre questa parte, l'esimio CNG, l'arretratezza e la ristrettezza della situazione italiana, in aperto contrasto con quanto esposto nel testo, l'hanno percepita o lo sentita solo io?

sabato 23 maggio 2015

mi dia un etto di mammuth, tagliato fine...

Certo non siamo così romantici e infatuati dal non capire che è un'operazione smaccatamente commerciale, finalizzata a promuovere una catena di supermercati, attirando le famiglie, adescandone i figli con il possente richiamo che, da sempre, i grandi sauri esercitano sui cuccioli d'uomo e contemporaneamente un marchio di giocattoli  dr Steve Hunters a carattere paleontologico, che va detto sono proprio ben fatti ed ad alto contenuto didattico  (non a caso derivano da un'espererienza imprenditoriale che, secondo me, ha trovato una via originalissima per coniugare impresa e studio paleontologico di alto livello); però, non siamo nemmeno così snob da non vedere anche i lati positivi che l'iniziativa di esporre per supermercati una replica di scheletro di Tyrannosaurus Rex a grandezza naturale, indubbiamente, ha. In primis, fa indiretta promozione alle Scienze della Terra, ricordando la magia, il fascino e la complessità che queste hanno, consente di attirare opinione pubblica e di farla familiarizzare con i suoi concetti.
Molti di quelli che sono diventati Paleontologi o Geologi come chi scrive, al di là poi dei campi in cui effettivamente hanno esercitato la professione, lo debbono al richiamo che da bambini esercitarono su di loro le strabilianti faune mesozoiche: per le Geoscienze e la Paleontologia in particolare, i Dinosauri sono un brand fortissimo, tipo Venezia per il turismo. Certo il brand andrebbe sfruttato meglio, visto che, almeno nel caso italiano, questo non avviene e sono altri settori quelli che si giovano della forza mediatica dei dominatori del mesozoico. Le Geoscienze italiane non se la passano bene per molti motivi, l'insipienza della politica certo, la scarsa avvedutezza del mondo economico pure, ma anche la presuntuosa chiusura di tanta parte del mondo accademico, che va ormai per consunzione. Se l'Università non ritrova una feconda sinergia con società, cultura, imprese, tecnica e tecnologia, temo le Scienze della Terra in Italia faranno la fine delle Ammoniti, che oggi son più affare da marmisti.
Il rischio è che fanciulli di oggi, ammaliati dal canto del Dinosauro, domani non trovino da nessuna parte nel bel paese dove poter studiare e apprendere quello staordinario racconto che solo la Paleontologia e le Geoscienze possono narrare.
Per cui oltre a portare i bimbi a queste occasioni, riflettiamo sull'importanza dello studio e tutela dei geositi e del patrimonio paleontologico, sulla valorizzazione della musealità, ma anche su tutti quelli aspetti  quotidiani e tangibili, dove le Scienze della Terra sarebbero indispensabili, per una miglior permanenza dell'Uomo su questo Pianeta.

venerdì 30 gennaio 2015

il Dilemma della Trivella

E' tornata prepotentemente d'attualità (accade con frequenza più o meno triennale...) la questione circa la possibilità di estrarre gli idrocarburi presenti nell'Alto Adriatico. Lungi dal sottoscritto pensare di poter dirimere la questione, vorrei tuttavia dare un contributo informativo  a chi avrà la pazienza di leggerlo. Il tema è assai complesso, come tutti quelli dove economia e ambiente si intrecciano, specie in un paese affamato di energia e di lavoro come il nostro, con un ambiente unico, la cui tutela non è sempre il nostro forte, dove ci sono dinamiche geoambientali e sociali complesse e dove la strategia che guida la direzione di sviluppo del paese non è sempre chiara, nemmeno a chi la dovrebbe avere tale. Mi limiterò a dare qualche spunto di riflessione, cercando di non addentrarmi in voli pindarici che lascio ai ben più numerosi e preparati commentatori ed esperti che popolano il nostro paese.
Piattaforme Adriatica - fonte geograficamente
Lo studio e l'esplorazione delle riserve di idrocarburi in Adriatico parte già dagli anno '60, assieme anche ai primi tentativi di sfruttamento a livello industriale. Già allora tutta una serie di fenomeni, registrati lungo le zone costiere, per lo più di subsidenza, crearono allarme circa possibili correlazioni tra l'attività estrattiva e controindicazioni ambientali. Da aggiungersi il rischio sversamenti e annessi e connessi. Più di recente c'è chi ha voluto anche correlare l'estrazione in mare (e quella in terraferma) con il sisma dell'Emilia Romagna,  Il blog Geograficamente in un lungo post, da ampio riassunto e rassegna del dibattito sul tema. Val la pena si segnalare quanto dice il noto Geologo "televisivo" Mario Tozzi sul tema, il quale tende a escludere molte delle ipotesi di rischio sollevate dal mondo ambientalista contro la ripresa dello sfruttamento delle risorse di idrocarburi in Adriatico, ma riflette sull'opportunità o meno di investire ancora su fonti fossili invece di pensare ad altro.  Il Governo sembra comunque orientato a  muoversi per accaparrarsi tali risorse, non a caso il Decreto "sblocca Italia" e la successiva Legge di stabilità, pur nel rispetto delle prerogative delle Regioni e degli Enti Locali, danno deciso impulso in questa direzione, ponendo vincoli sulle tempistiche decisorie piuttosto stringenti. L'azione di approfondimento circa la valutazione di tali risorse in termini sia di dimensione che valenza economica è ormai da tempo, argomento per il Ministero dello Sviluppo Economico  (MISE) e dell'Ambiente, anche se quest'ultimo (come spesso accade...) è ancora in itinere con le procedure di valutazione ambientale, Il MISE ha compiuto un'attenta valutazione, sopratutto in relazione al fatto che tali risorse sono ambite anche dalla nostra dirimpettaia Croazia
Qui si apre una questione non secondaria. Ammesso e non concesso che l'Italia ritenga anti economico, oppure veda nelle controindicazioni ambientali (quelle RAGIONEVOLMENTE possibili - non tutti gli schiamazzi degli ambientalisti di lotta e di salotto che popolano il paese) un rischio eccessivo e non proceda oltre,  oppure scelga di non farlo per un radicale cambio di strategia politica in cui le fonti fossili - anche quelle, chiamiamole di transizione, tipo il metano - siano out del tutto (con tutte le connesse ripercussioni economiche), non può impedire che la Croazia, affamata di risorse e in crisi economica, invece, decida di attingere alle risorse dell'Adriatico, per i tratti di  propria competenza. Questo porterebbe a diversi "effetti collaterali": 
  • L'Italia perderebbe risorse economiche derivanti dalle concessioni di estrazione, e ovviamente dovrebbe importare idrocarburi;
  • Quasi sicuramente dovrebbe risentire degli effetti negativi che l'attività estrattiva dovrebbe avere (quindi alla veneta: bechi e bastonai)
  • Non sembra che la Croazia ad oggi sia in grado di offrire garanzia circa una sua capacità di controllo e gestione di operazioni così delicate, potremmo, perciò incorrere in soggetti non in grado di osservare protocolli di sicurezza (sai per l'ambiente che per gli addetti) adeguati alla complessità di tale attività, aumentando perciò i rischi anche per i nostri territori.
Oggi viene chiamata in causa l'UE, affinché vieti alla Croazia di procedere oltre, in effetti solo una scelta strategica a livello sovranazionale può dirimere adeguatamente la questione, importante è pero, che siano razionali i processi di decisione. Ad oggi, dunque, le Regioni e gli Enti Locali che si oppongono ai piani del governo sulle perforazioni in Alto Adriatico - onestamente non so per convinzione ponderata o per mero calcolo elettorale e di ossequio agli umori della piazza) dovrebbero chiedere di poter avere dal governo valutazioni chiare sui rischi e sui costi/benefici, alla UE di predisporre tavolo tecnico sul tema, ma dovrebbero anche porsi il problema, qualora fosse consentito sfruttare tali riserve, conviene che a farlo sia chi può garantire standard di controllo ed efficienza elevati o no?