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domenica 19 ottobre 2014

Il Museo GeoPaleontologico di Padova

Finalmente. Dopo anni sono tornato sul luogo del delitto. Palazzo Cavalli a Padova. Dove, come molti altri, fui studente, pieno di ispirazioni e ambizioni. Dove, ancora prima andai in visita da liceale e dove fui trafitto dalla Paleontologia. Finalmente dopo ormai 2 lustri da che divenni laureato, sono riuscito a tornarvi e a vedere il nuovo assetto del museo. Cogliendo l'occasione della Settimana delle Scienze della Terra. Dopo una interessante conferenza sulla paleoidrografia patavina,  inizia la visita, condotti dalla dott.ssa Del Favero. Classico esempio dell'innato entusiasmo dei paleontologi, che con molto brio ci guida tra le collezioni del museo. Per chi come me, ricorda la confusione sopratutto del piano terra e in particolare della collezione di paleobotanica, vedere la sala delle palme è sicuramente una bella sopresa. Vi è un'intera sala dedicata ai vegetali fossili tratti da giacimenti veneti, in meraviglioso stato di conservazione. Per chi vuol farsi un'idea di quando i Caraibi erano qui, quello è il posto giusto. Ottimo poi per la didattica sono 2 "orologi" del tempo geologico, che cercano di esprimere visivamente uno dei concetti più difficili da afferare (appunto il "tempo" per i geologi). Salendo le scale si nota una revisione anche del percorso museale, ma i pezzi forti ci sono ancora tutti, ittiosauri, il prezioso Tridentinosaurus Antiquus, foche, lamantini, delfini, tartarughe, testimoni della varietà della fauna dei mari del passato, molti sempre da giacimenti veneti. E pareti intere di splendidi pesce di Bolca. Ammetto che qui sono fuggito dalla comitiva e da due povere studentesse che facevano sorveglianza, nonostante gli anni, so ancora muovermi tra quelle sale. 
E poi. E poi ritrovo i vecchi amici. Il piccolo Elphans falconeri, bell'esempio del nanismo isolano,  l'Ursus speleus - l'orso delle caverne - cui spesso vengo paragonato. E lui. Alla fine del giro c'è lui, l'amico di tante ore al museo. Smilodon californicus, che devo dire, fa sempre la sua figura. Il museo è sicuramente più appetibile anche per i profani, rispetto a un tempo, essendo decisamente migliorata dadattica del percorso e la didascalicità. Restano sempre un po' infelici gli orari, ma non mancano le occasioni di visita. 
Al link http://www.unipd.it/musei/geologia/ trovate tutti i contatti. Per gli amanti della Paleontologia, la visita è un must. Parola di Paleobonettus.

venerdì 10 ottobre 2014

Porto (delle nebbie...)

E' nel vivo la discussione sui futuri sviluppi della portualità Veneziana. Con l'Autorità Portuale impegnata su due fronti principali, la realizzazione del Porto Off shore per il traffico commerciale, e la realizzazione del canale Contorta Sant'Angelo, per creare un nuovo passaggio per le grandi navi da crociera, in luogo del loro transito per il bacino San Marco. Entrambe le ipotesi hanno ovviamente sostenitori e detrattori. Il porto offshore è ovviamente osteggiato dalle altre realtà portuali (che è lecito supporre ritenere sperare attivamente in un ridimensionamento di Venezia in loro favore) e il Contorta da varie realtà economiche e ambientaliste.  E' altrì evidente che, così, non si possa continuare. La Laguna di Venezia è irrimediabilmente avviata a un processo di pelagizzazione, ossia trasformazione in baia marina, ciò lo si deve a vari fatti, molti antropici:
  1. deficit sedimentario dovuto alla perdita di sedimenti causata dallo sposamento fuori Laguna dei principali corsi acqua, incremento dell'attività erosiva per moto ondoso e correnti mareali a seguito della scavo delle bocche di porto e dei canali lagunari e riduzione generale degli apporti sedimentari per interventi a monte sui corsi d'acqua principali;
  2. subsidenza del fondo per compattazione progressiva dei sedimenti lagunari e per i processi di compressione dovuti alla riduzione della pressione delle acque sotteranee a seguito degli emungimenti degli anni 70;
  3. innalzamento eustatico a seguito di dinamiche climatiche globali.
Vanno aggiunti, poi, i fenomeni di inquinamento legate agli scarichi sia civili che industriali effettuati in Laguna fino al recente passato e all'imbonimento con scarti industriali di ampie aree di barena.  La complessa interazione tra tutti questi fattori ha prodotto il quadro attuale. 
Orbene, è da capire dunque, cosa si voglia fare. Si ritiene di assecondare tale processo, anzi favorirlo, mettendo in conto la rapida scomparsa di interi ecosistemi e ambienti lagunari e con essi di attività economiche (pesca, itticultura, diportismo etc etc), tutt'altro che secondarie? Se è così allora la si smetta di buttare soldi nel ripristino di barene e si faccia altro.
Se, però, si ritiene, e il sottoscritto è tra coloro che lo pensano, che vada salvaguardata la Laguna e resa più "naturale" possibile l'evoluzione della Laguna verso il suo inevitabile destino ( una laguna è in ogni caso un ambiente geologicamente effimero) e quindi, favorita una contemporanea coevoluzione degli ecosistemi e delle flore e faune, che non comporti un impoverimento ambientale; bisogna agire con maggior strategia e ponderazione. Ricordando che l'insedimento umano in Laguna è ormai elemento imprescindibile.
Per questo io credo che la Portualità, di grosse dimensioni, non possa più stare in Laguna. Finché Porto commerciale e passeggeri saranno chiusi al suo interno, ci sarà sempre il problema dello scavo dei canali, attività che comporta conseguenze contropoducenti (la pelagizzazione lagunare - per esempio - fa sì che eventuali sedimenti apportati vadano ad accumularsi nei canali, rendendo sempre più frequenti le necessità di scavo - un vero circolo vizioso insomma) e il contenimento dei fenomeni erosivi legati al moto ondoso. Insomma la Portualità Veneziana avrà sempre un surplus di costi e difficoltà logistiche che alla lunga la renderanno sempre meno competitiva e interconnettibile con le altre. Ovvio, portare gli approdi a mare, richiede di pensare come poi connetterli con la terra, bisogna pensare come gestire un nuovo traffico acqueo, che, però, potrebbe essere fatto con imbarcazioni generanti un minor impatto in termini di mondo ondoso rispetto al presente.
Insomma, il Porto Commerciale off shore, capisco che costi, ma è forse, l'unica vera proposta credibile, così come il Porto Passeggeri al Lido, per partire per l'elaborazione di una concreta strategia di tutela lagunare e sviluppo portuale. Il resto sono solo soluzioni costose, che posticipano alla prossima generazione - e forse meno - il problema, che allora sarà ancora più difficile da gestire.

lunedì 22 settembre 2014

CAVE (canem...)

E' di questi giorni la bagarre sulla questione dell'adozione del nuovo piano cave della Regione Veneto (Piano Regionale Attività di Cava - PRAC). Il piano elaborato dalla giunta, è arrivato in Consiglio, dove non ha avuto i numeri per la sua adozione definitiva ed è ritornato in commissione, e chissà quando vedrà effettivamente luce. Stracci volati tra i membri della maggioranza del governo regionale, che si accusano reciprocamente di fare il gioco delle varie lobby dei cavatori. Non entro nel merito di ciò, ma vorrei fare alcuni rilievi sul tema. Il PRAC attuale del Veneto è vecchio di decenni, assolutamente inadeguato alle odierne esigenze di tutela del territorio, e questo vuoto normativo è il terreno ideale per continuare a sfruttare in maniera poco razionale la risorsa cava. L'attività di cava è indubbiamente impattante sul territorio, modifica fortemente il paesaggio, altera dinamiche importanti come quelle di versante e idrogeologiche. Ha significativi risvolti ambientali, anche perché le cave dismesse, spesso, evolvono in discariche, nel passato non sempre gestite in modo impeccabile, con pesanti ricadute sulla salubrità ambientale. E' altresì un comparto economico importante. E ciò non va sottovalutato. Ecco perché il prossimo PRAC non può tardare ad arrivare e deve essere una sorta di exit-strategy. La risorsa di cava non può più essere gestita come avvenuto finora e non può avere un orizzonte temporale troppo ampio. Ma questo passaggio va fatto con il dovuto metodo, permettendo la riqualificazione del comparto. Va favorito l'uso di aggregati riciclati in luogo della materia vergine, anche mettendo mano ad una normativa che non sempre aiuta tale tipologia di attività. Ormai i processi impiantistici sono maturi e gli aggregati riciclati sono ampiamente competitivi sul piano prestazionale con le materie vergini. Bisogna, quindi, favorire la riconversione impiantistica dei cicli estrattivi di cava in tal senso e vanno favorite le riqualificazioni dei cementifici per una maggior efficienza energetica (abbinandoli magari a meccanismi di cogenerazione e trattamento rifiuti. Va limitato fortemente la conversione delle cave esaurite in discariche, anche perché la filosofia stessa della discarica va decismanete ridimensionato come complemento residuale a valle di processi di recupero misti energia/materia assai spinti. Vanno incentivati i ripristini ambientali corretti, rispettosi del paesaggio e della morfologia del territorio. Va definitivamente abbandonata la cava in alveo, le ricadute in termini di dissesto idrogeologico non  sono più sopportabili. E' da valutare con attenzione lo sfruttamento dei naturali accumuli di detrito e materiale di frana. Va attentamente computato il volume effettivamente cavabile e bandita ogni forma di deroga.  Il nuovo PRAC dovrà essere chiaro, preciso e non lasciare aperte finestre che permettano di deviare dall'obbiettivo. Certo il percorso va condiviso anche con i cavatori, ma deve essere detto chiaro e tondo che le pareti da sbancare sono un lusso che non ci si può più permettere.

martedì 9 settembre 2014

Geology made in Ciosa

Chioggia's Cat & Becchi's round
Compito di questo blog è anche evidenziare le numerose esperienze, spesso frutto del volontariato e della passione individuale, di divulgazione delle Scienze della Terra e di valorizzazione del patrimonio geologico-paleontologico, sparse nel nostro territorio. Durante una recente apertura notturna dei Musei di Chioggia, ho avuto la possibilità di conoscerne alcune, davvero caratteristiche e di indubbio pregio.
La prima è l'esposizione del Gruppo Naturalisti “Linneo” , associazione di collezionisti, attiva da ben 7 lustri. Il gruppo oltre svolgere attività didattica varia ha allestito una mostra permanente, recentemente rinnovata, in cui è ospitata  una collezione naturalistica di oltre 2.000 specie fra conchiglie, pesci, crostacei, echinodermi (stelle, ricci ecc...), spugne, celenterati (coralli, madrepore ecc...), minerali, fossili e insetti. Ovviamente solo una parte è visibile, l'esposizione è un po' angusta, ma ben curata e pregievole, oltre esemplari di fauna marina attuale, dell'area lagunare e adriatica, sono visibili alcuni minerali di dimensione notevole e diversi fossili, ordinati  secondo criteri cronostratigrafici alquanto apprezzabili.
Pannelli esplicativi corredano le bacheche dei reperti esposti e i soci del gruppo sono a disposizione per rispondere alle domande dei visitatori. Su richiesta sono possibili visite guidate per gruppi e scolaresche anche in altri orari. Ingresso gratuito. Se vi capita il giro a Chioggia, fate un giretto anche a questa mostra, ne vale la pena.
Per informazioni: Gruppo Naturalisti del LinneoPalazzo Ravagnan (entrata da calle Donaggio)cTel. 041.491606 e 333.2904397 email: gn.linneo@alice.it
Altro elemento degno di segnalazione è il Museo Civico (3,50 euro l'ingresso - ben spesi), al di là dei reperti archeologici e dell'esposizione sugli arti e mestrerie della tradizione chioggiotta, gli amanti delle Scienze della Terra troveranno 2 chicche:
- una sezione 3D della Laguna sud, con ricostruzione stratigrafica dell'area lagunare, un pregevole manufatto che ben fa capire la complessità della storia geologica del ns territorio, e quanto ci sia da scoprire.
- un Ittiosauro fossile intrappolato in un blocco di Rosso Ammonitico, con ricostruita la storia del ritrovamento (il blocco era destinato a un altare del Duomo), affiancato da pannello didattico sui dinosauri (I dinosauri erano terrestri - l'ittiosauro marino e quindi con i dinosauri è stato coevo, ma appartiene ad altro gruppo tassonomico - accontentiamoci). Va segnalato che questa chicca è messa a lato della scala d'uscita, non proprio il posto d'onore (perdonate il mio io Paleontologo sofferente ogni tanto emerge). Comunque da vedere.
 

martedì 5 agosto 2014

Dissesto e Dissesti

sui giornali...

Il Messaggero 5 agosto 2014
Dissesto idrogeologico, un piano decennale da oltre due miliardi
LA TRAGEDIA
ROMA «Mica partiamo da zero. Abbiamo studi, statistiche, progetti accumulati negli anni. Bisogna solo rimettere tutto in moto». Sta tornando da Treviso, il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, dove sabato notte, a Refrontolo, quattro persone sono morte investite da una colonna d'acqua alta tre metri. E’ stata aperta un'inchiesta e il giorno dopo è stato il giorno delle polemiche. Il dramma si poteva evitare? Il ministro ha davanti a sé un «Paese morfologicamente malato» e una strada la deve trovare. «Stiamo lavorando a un piano decennale per combattere il dissesto idrogeologico. Abbiamo due miliardi e trecento milioni di fondi europei da sfruttare, e il fatto che il quaranta per cento di questi soldi sia bloccato dal patto di stabilità, beh, questo non ci può fermare». Solo una settimana fa Galletti era sul molo di Genova Voltri, ad aspettare il relitto della Concordia, che per fortuna non ha sversato in mare neanche una goccia. Ieri invece a Refrontolo, davanti a quella tragedia. e una sua lezione l'ha dovuta ricavare: «Sono problemi che si risolvono se tutti gli enti locali fanno la loro parte e se i cittadini si assumono gli impegni fino in fondo, anche del mantenimento del proprio giardino».
LE RISORSE
Ma intanto bisogna ripartire, soprattutto «utilizzare le risorse che già ci sono». Si scopre, così, che a metà giugno il Governo si era già mosso, approvando il decreto 91, che crea due distinte cabine di regia, per due vere emergenze di queste paese: l'edilizia scolastica e il dissesto idrogeologico appunto. Con due effetti immediati: da un lato il riconoscimento al più alto livello di due priorità per il Paese e dall'altra, finalmente, un coordinamento plausibile tra ministeri per non disperdere tutti i fondi a disposizione, per non lasciarli incagliare nelle trappole della burocrazia.
LE AREE A RISCHIO
«Questo è quello che abbiamo già fatto - riassume Galletti - il resto è tutto da fare. A cominciare - ha spiegato - dalla sistemazione delle zone più a rischio. Noi stiamo facendo una mappatura di tutte le aree italiane già conosciute. Dovremo cominciare da lì, sistemando i territori e le zone fluviali più critiche per poter indirizzare gli interventi più adeguati ». Questa cabina di regia di cui parla il ministro dell'Ambiente, in verità, porta con sé anche l'attesa, necessaria semplificazione delle procedure. Via i vari commissari, non bisognerà più chiede mille permessi per avviare i lavori, tutto dipenderà soltanto dal placet del presidente di Regione. L'ok definitivo, a quel punto, dipenderà solo dalle Soprintendenze, e sarà un ok relativo perché dopo due mesi scatterà il silenzio-assenso. Anche certi calcoli vanno fatti. «Per il futuro vogliamo lavorare in prevenzione -si augura Galletti- e non in emergenza come ora. E sapete perché? Perché è stato calcolato che lavorare in prevenzione costa otto volte di meno. E comunque nessun rischio di sottovalutazione: il Governo conosce l'entità e la gravità del problema».
I COMUNI
Ma c'è un altro discorso che sta a cuore al ministro dell'Ambiente: «Mi lasci dire. Alla fin fine non è proprio una questione di soldi o di procedure, ma di cultura, di azioni quotidiane di responsabilità. Capisco il patto di stabilità, ma i comuni, nella capienza di quel patto, ci mettano anche la tutela del territorio. E i privati , poi. Non voglio parlare solo del singolo giardino, ma degli imprenditori, agricoli e industriali. Si pongano il problema anche loro, investano nella tutela del territorio, perché se quel territorio non c'é più non vanno avanti».
Nino Cirillo
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Ministro abbia pazienza, ma quello che dice l'abbiamo sentito tante, troppe volte, ci faccia vedere qualcosa stavolta, per favore.... (ndr)


Il sole 24 ore  5 agosto 2014
Giorgio Santitti
Patto di stabilità Le Regioni diano priorità alla difesa del suolo

I1 patto di stabilità interno ha certamente frenato e frena gli investimenti delle Regioni e degli enti locali ed è, sul piano quantitativo, una delle principali cause della drastica riduzione (dell'ordine del30%) dei livelli di investimenti pubblici degli ultimi 5-6 anni. In questo senso, ha ragione chi dice - tra questi anche il presidente del consiglio Matteo Renzi- che è un patto «sciocco».  Altra cosa è però usare l'argomento del patto di stabilità interno come alibi per qualunque scelta politica facciano Regioni e comuni. Non bisogna confondere l'azione dell'automatismo sciocco del patto con le responsabilità di una politica che non sa o non vuole decidere. Occorre ricordare infatti che Regioni ed enti locali dispongono di «spazi di libertà» dal patto che possono gestire con una certa dose di autonomia. Da qui nasce una fotografia tutt'altro che omogenea sulla qualità di spesa e sui settori di investimento che ogni Regione o ente locale privilegia quando si tratta di assegnare questi «spazi di patto» (o addirittura di non assegnarli). Si può decidere (e dire) che la spesa sanitaria o quella per il trasporto locale vadano considerate prioritarie rispetto a quella contro le frane e le alluvioni o per la manutenzione del territorio. Ogni territorio ha esigenze distinte ed è legittima questa articolazione che implica le discrezionalità e le responsabilità della politica. Dire che il patto di stabilità interno impedisce di investire in difesa del suolo, invece, non è corretto e tanto meno lo è invocare il patto a ogni disgrazia o alluvione. Ci sono alcune Regioni che Da tempo hanno deciso di fare degli investimenti in dissesto idrogeologico una priorità e hanno mantenuto livelli di spesa coerenti, costanti, sufficienti. L'Emilia-Romagna, la Puglia, la Lombardia, la Toscana sono fra queste Regioni virtuose. Questo non significa- sia chiaro - che in queste regioni non ci siano o non si rischino calamità naturali. Il livello generale di manutenzione del territorio è oggi ancora troppo basso in Italia e alcune regioni sono virtuose perché hanno saputo individuare in questi investimenti una priorità, non perché non ci sia più altro da fare. Con il decreto Ambiente-competività che dovrebbe avere il via libera definitivo in settimana i presidenti di regioni diventano anche commissari politici e condivideranno responsabilità politiche e tecniche con Palazzo Chigi che ha appena lanciato l'unità dimissione «Italia sicura» guidata da Erasmo D'Angelis. Questo è il momento, quindi, non solo per avviare centinaia di opere che erano rimaste bloccate dal piano straordinario del2olo con lo sblocco delle vecchie risorse, il superamento dei colli di bottiglia autorizzativi, l'individuazione di priorità aggiornate. t il momento anche per un'assunzione di responsabilità generalizzata, sotto la spinta nuova della regia di Palazzo Chigi e dei poteri straordinari messi in capo ai governatori. Gli alibi, a questo punto, non servono più. Serve darci sotto e rendere conto ai cittadini elettori per quel che si è fatto e quel che si è deciso di non fare.

martedì 15 luglio 2014

o Magistrato, mio Magistrato!

Tra i tanti effetti collaterali dello scandalo MOSE, di cui abbiamo già parlato, tra cui quello imperdonabile di aver minato la credibilità di decenni di studi tecnici e scientifici sul sistema lagunare, c'è anche la dipartita del MAGISTRATO alle ACQUE di VENEZIA, ente che sopraintendeva a molte attività per la tutela e salvaguardia della Laguna di Venezia. Il MAVE, organo del ministero delle infrastrutture e lavori pubblici, erede dello storico Ufficio della Serenissima, è stato cancellato  la Legge 90 del 24 giugno, a seguito della pesante compromissione dell'Istituzione nell'affaire Mose. Alla italica via come sempre, si diventa più realisti del re e si fa tabula rasa. Come sempre all'italiana, ossia, chi si occupa adesso delle autorizzazioni allo scarico in Laguna o più banalmente, di cambiare una briccola? Non mi metto a dire che il MAVE andava tutelato in base al blasone di tale Ufficio (sapete che non sono un romantico...), ma per la funzione necessaria che può svolgere. Non condivido la proposta fatta dal Comune di Venezia, circa l'incorporazione in esso del MAVE, poiché penso che il Magistrato debba svolgere una funzione più ampia sull'intera Laguna e bacino scolante, permettendo di superare le mille frammentazioni di competenze che impediscono una salvaguardia organica, ampia e ragionata dell'ambito lagunare. Mi pare più seria e sviluppabile quella avanzata dal M5S di passare il MAVE sotto il Ministero dell'Ambiente (... e se lo dico io che certo fan dei grillini non sono...). Il "nuovo magistrato" dovrebbe avere competenza su tutta la Laguna, questo sì come ai tempi della Serenissima, sia in termini di autorizzazione allo scarico che di interventi infrastrutturali e ambientali, dovrebbe essere organo terzo nella commissione di studi di fattibilità e approfondimenti scientifici, in modo da garantirne la trasparenza e credibilità, dovrebbe essere monocratico (così è più chiara la responsabilità degli atti), durata quinquennale rinnovabile, con forte capacità operativa, anche in termini di controllo, e avere due organi di tipo consultivo, una sorta di "comizi " uno tecnico-scientifico, composto da esperti qualificati in idraulica, biologia, geologia, ecologia, ingegneria, scelta dal magistrato, tramite selezione o cooptazione, che coadiuvi il magistrato nelle scelte e una consulta ove siedano rappresentanti dei comuni che si affacciano in laguna, delle Regioni coinvolte, dei consorzi di bonifica, della Autorità Portuali e del genio civile, che serva al magistrato per poter dare organicità alle attività di Salvaguardia della Laguna, cercando di  preservare e ripristinare da un lato le dinamiche ambientali, dall'altra permettere una gestione sostenibile delle attività antropiche insediate e insediabili nella laguna di Venezia e aree contermini.
E' spinosa la tematica della nomina. Ovverosia, io credo si possa ragionare su tre vie:
- nomina del Ministero Competente, teoricamente il Ministro dovrebbe decidere in base alle competenze e nominare persona qualificata, ma di fiducia, c'è il rischio che alla fine la fedeltà politica prevalga sulla competenza, come criterio di scelta.
- la consulta degli enti istituzionali, in quando fatta di membri di diritto elegge il Magistrato, anche qui il rischio è che si risenta troppo di criteri più legati agli equilibri politici che altro.
- elezione da parte dei cittadini dei territori in affaccio Lagunare. Elezione con candidatura singola, senza legami con elezioni politiche. Diciamo tipo elezione dei Procuratori Distrettuali americani. E' forse la modalità che mi affascina di più, ma anche qui diventa imprescindibile un legame coi partiti. E ci sono molti aspetti potenzialmente controproducenti. Però, indubbiamente portare al voto i cittadini sull'ente che dovrebbe salvaguardare la Laguna, sarebbe qualcosa di estremamente innovativo, anche in termini di responsabilizzazione delle comunità.
Sono tutte linee che si potrebbero sviluppare. Purché il Magistrato alle acque resti. E resti per davvero.

martedì 8 luglio 2014

il (fu) Vallone Moranzani

Rendering del progetto Vallone Moranzani
Il progetto del Vallone Moranzani viene da lontano. Ed ha avuto un lungo iter progettuale-tecnico burocratico e sopratutto partecipativo, è forse uno dei rari, se non l'unico, esempio vero di applicazione di Agenda 21 in Italia, ossia un costante coinvolgimento pubblico della cittadinanza coinvolta su una grande opera, su cui poi questa, ormai anni orsono, si è espressa, e favorevolmente pure, della serie, se alla gente spieghi bene le cose, magari non sono proprio tutti dei Nimby del menga.
Il progetto consiste nello stoccaggio di fanghi di dragaggio dei canali lagunari portuali, post trattamento, nella zona dei Moranzani a ridosso tra l'area industriale di Porto Marghera a Venezia e l'abitato di Fusina-Malcontenta, creando una sorta di dosso, lungo oltre 4km e alto al colmo 9m, in copertura di un sistema di elettrodotti, attualmente arei, che si dipartono dalla centrale Palladio di Fusina. Il progetto è nato da un connubio necessità di vari soggetti:
- il bisogno dell'Autorità Portuale di garantire la navigabilità per le navi di elevato pescaggio, dei canali portuali.
- la necessità di ridurre i costi di gestione di tali fanghi.
- lo svecchiamento/potenziamento degli elettrodotti Veneti da parte di Terna, l'ente gestore delle linee elettriche.
- la necessità di potenziare le infrastrutture della vecchia zona industriale di Porto Marghera per un suo rilancio.
- la pressante richiesta degli abitanti di Malcontenta di una riqualificazione urbana.

Da tutto ciò nasce un accordo di programma ambizioso. Che vede tra gli altri lo spostamento di un comparto di produzione di oli minerali e carburanti, oggi a ridosso dell'abitato di Malcontenta, entro la zona industriale, alla fine l'intero Vallone dovrebbe essere una sorta di "cortina verde", tra la zona urbana e quella industriale.
I costi sono per lo più a carico dell'Autorità Portuale (APV), e sono costi non da poco, ma comunque minori di quelli che si dovrebbe sostenere se si gestisse i fanghi di escavo come fatto fino al recente passato, ossia, spediti in Germani a peso d'oro.
fotopiano del Vallone
I fanghi scavati verrebbero inertizzati e essiccati in situ e poi usati per "sarcofagare" gli elettrodotti che da aerei passerebbero a interrati,  completata l'opera, il dosso così creato verrebbe ricoperto di terreno vegetale. Certo, di fatto, volgarmente è una discarica per fanghi, ma di concezione nuova, e sopratutto questo intervento coniuga esigenze economiche e riqualificazione ambientale e urbana.
Tutto bene? Insomma. Questo accordo è frutto di molti equilibri e elementi. In particolare, l'interramento degli elettrodotti di Terna, s'inserisce in un più ampio intervento sulla rete elettrica veneta, che vede anche la sostituzione di altri elettrodotti aerei e la loro sostituzione/implementazione, in particolare anche nella Zona della Bassa Riviera del Brenta tra Dolo e Camin di Sala. Qui sono sorti comitati spontanei chiedendo anche qui l'interramento per ragioni paesaggistiche (concordo che gli elettrodotti possano essere antiestetici) e ambientali (riduzione dell'inquinamento elettromagnetico). Ma Terna si è opposta, per ragioni economiche e ambientali. Economiche perché l'interramento (che costa di più) nella zona del Vallone è a carico di APV, mentre qui lo dovrebbe pagare Terna.  Ambientali perché l'interramento non preverrebbe l'inquinamento elettromagnetico, rende più ostica la manutenzione e interferisce con l'idrologia ipogea. Chiedo scusa della sintesi estrema delle posizioni, ma sto sbrodolando sul tema più di quanto vorrei. Non entro nel merito delle due posizioni, anche se - lo confesso - ho l'idea che ci sia chi è pro interramento più per il fatto che se occhio non vede cuore non duole e qualche altra meno nobile ragione di tipo fondiario, ma sottolineo che ciò ha portato ad una battaglia legale che ha visto alla fine la legge intimare a Terna la revisione della parte extra Vallone, con conseguente interramento. Da parte sua Terna è decisa a ripartire da zero, ossia ricominciare tutto l'iter autorizzativo, quindi non scorporare la parte Moranzani del suo intervento dal resto, con conseguente rinvio alle calende greche di tutto il processo. Parteggiando solo per il territorio, quello che posso constatare è che un intervento, che consentiva di evitare movimentazione rifiuti, anche pericolosi, impiegare risorse nel territorio, riqualificare un'area in maniera concreta, risolvere alcuni nodi critici di convivenza tra elementi antropici e naturalistici, è seriamente in predicato di sfumare per la miopia complessiva di un sistema di governo del territorio e dei suoi processi. Con il serio rischio di aggravare ulteriormente la già delicata situazione dell'ambiente lagunare. In questo momento, inoltre, non vedo soggetti in grado di dirimere la questione. 

martedì 10 giugno 2014

com' é triste Venezia...

Una nota canzone recitava: "com'è triste Venezia, quando non si ama più..." ma Venezia è difficile non amarla, per la sua storia, per la sua peculiarità, per la sua architettura, per il suo affacciarsi sulla Laguna. La laguna ambiente suggestivo anche geologicamente. Suggestivo perché effimero. Una laguna si regge su un equilibrio dinamico di diversi fattori: apporto sedimentario da terra, variazioni del livello del mare, correnti marine, cui magari si aggiungono fenomeni di tettonica locale e di variazione climatica locale. Insomma un connubio di interazioni di fenomeni locali e globali. Finché nessuno prevale la laguna regge, e come tutti gli ambienti d'intersenzione tra ambienti diversi, il risultato è strepitoso. Ci sono ecosistemi che possono esistere solo in una laguna, specie tipiche, forme sedimentarie indicative, processi unici. Ma basta un nulla per generare capovolgimenti devastanti, con la scomparsa di interi gruppi biologici e di interi sistemi morfologici. Se l'apporto sedimentario diventa troppo esuberante, e magari c'è pure un processo di caduta eustatica, la laguna prima s'impaluda, poi s'interra del tutto, se invece l'eustatismo sale e le correnti erosive marine prevalgono, la laguna si pelagizza, divenendo mare. Il record stratigrafico di una laguna, e quella di Venezia non fa eccezzione, è la storia di questa lotta, con l'alternarsi di corpi sedimentari più o meno continentali e più o meno marini a seconda delle fasi evolutive del sistema. Aggiungiamoci poi una nuova forza della natura, noi, con le nostre attività e la nostra presenza. In epoca storica siamo stati uno dei più potenti elementi di trasformazione della Laguna, deviando corsi d'acqua, alterando il ciclo dei sedimenti, interfernendo con la circolazione delle acque, interrando qui, scavando la. Insediando cicli industriali vari, avviando attività dalla pescicultura alla crocieristica. Ecco, perché, la pretesa di salvaguardare la Laguna di Venezia, intendendo il suo "congelarla" all'oggi, è una pretesa velleitara. Come voler vuotare il mare con un cucchiaio da the.
Dal mio ufficio di Fusina, vedo allineate, ormai da settimane, le paratoie del Mose, pronte ad essere incernierate ai cassoni che, dopo anni, poco alla volta si sta procedendo a posizionare alle bocche di porto. Non riepilogo la lunga storia dell'opera e il dibattito infinito sulla stessa, non mi riconosco competenze sufficienti, diversamente dal 95 % di quelli che popolano il web, per dire se l'opera serva o meno, ma alla luce dei tristi eventi recenti, su cui non sto troppo a sottolizzare, qualche domanda devo pormela. Oggi, quelli che del Mose furono oppositori, o almeno taluni, chiedono che l'opera sia fermata, demolita addirittura, essendo nata solo come pozzo mangiasoldi e non barriera antiacqua. Il Consorzio e molti - come scrive Poletti sulla Stampa del 9 giugno, asseriscono che ormai si sia al punto di non ritorno, l'opera deve essere conclusa, poiché il non farlo, arrivati a questo punto, sarebbe ancora più deleterio, non solo per l'erario pubblico, ma anche per la fragile Laguna. Ovvio, che alla luce dei fatti recenti, agli occhi dell'opinione pubblica e per gli smarriti membri istituzionali ancora in piedi, sia difficile capire dove stia la realtà e sopratutto è chiaro che chiunque si schieri per l'opera, anche per mero pragmatico realismo, viene immediatamente visto come complice di malaffare. Servirebbe una rapida parola di Verità o quanto meno di Credibile Verosimilità, che nessuno è in grado di dare. Forse, potremmo chiedere aiuto all'UE, la nomina di una commissione di tecnici a livello europeo, non legati in alcuno modo ne agli scandali recenti, ne alle polemiche passate, ma sopratutto ai potentati politici ed economici locali o alle baronie accademiche nostrane, che visionasse i cantieri, la montagna di dati e studi fatti, in un tempo certo (ci sono popoli che diversamente dagli Italiani, sanno rispettare le scadende), potrebbe almeno dirci: a) se l'opera avrà una qualche effettiva utilità, a che punto stiamo, se vale la pena finirla, se siano possibili integrazioni e sopratutto quanto manca. Forse varrebbe la pena,  almeno per fornire una buona volta un quadro che non sia offuscato da un sospetto, mai così legittimo.

martedì 3 giugno 2014

Evoluzionismo alla veneta/2

I più non se ne saranno accorti, ma a fine maggio il nostro caro Veneto è stato protagonista per qualche giorno nel dibattito sulle nuove frontiere della ricerca nel campo evolutivo. L'occasione è stata fornita per il bicentenario della pubblicazione dei volumi della Conchiologia Fossile Subappennina di Giambattista Brocchi (1772-1826) che suscitarono nel 1814 un grandissimo interesse in Europa. Presso quei naturalisti come Lamarck, Cuvier, e i geologi della giovanissima Geological Society of London. Brocchi è stato geologo bassanese che, investito dell'incarico di ispettore delle miniere sotto il periodo napoleonico, raccolse in quest'opere studi suoi ed altrui. Nei volumi corredati di pregevoli incisioni, il Brocchi entrava in modo esplicito nel concetto di specie, in modo pionieristico e originale, con una sua ipotesi alternativa a quelle di Cuvier e di Lamarck. L’eco del dibattito rimase vivo negli anni, a Parigi, Edimburgo e Londra, fino a esser colto da Charles Lyell, autore di Principles of Geology, e dal giovane Charles Darwin, padre della teoria dell’evoluzione. Per saperne di più leggete il pezzo di  Stefano Dominici  su Paleoitalia . Ci sono stati due momenti importanti in queste commemorazioni: un dibattito nella natia Bassano di Brocchi (che ha ospitato anche una pregevole mostra con ricostruzioni a grandezza naturale di dinosauri) a cui ha partecipato il fiore degli studiosi italiani e mondiali dell'evoluzionismo, tra cui il mitico Niles Eldredge, padre della teoria degli "equilibri punteggiati", una rivisitazione del teoria dell'evoluzione, in cui il modello rigorosamente filetico è sostituito da un processo di stasi e accelerazioni, che tra l'altro meglio si confà alle evidenze del record fossile; e una lezione magistrale dello stesso Eldredge presso il dipartimento di Biologia di Padova. Ho presenziato a quest'ultima, e devo dire che ho molto apprezzato lo stile di questo grande, credo che molti degli studenti che l'ascoltavano non avessero ben chiaro il gigante che avevano di fronte, che con uno stile molto gioviale ha dispensato alcune vere perle del suo pensiero, ribadendo il suo essere "neodarwiniano" e non un anti darwiniano, come gli oppositori della sua teoria lo dipingono. E' stato anche un momento di riflessione, la questione evoluzionista non è, a mio avviso, adeguatamente insegnata e sopratutto affrontata ne nella formazione scolastica ne in quella universitaria. E' un dibattito lasciato a pochi. Mentre dovrebbe essere patrimonio pubblico. Aiuterebbe ad avere anche a livello sociale un approccio più consapevole e pragmatico in vari campi, dalla medicina, alla ricerca in senso lato e ai temi dell'economia e dell'ambiente. Aiuterebbe in genere a perseguire maggior razionalità. Aiuterebbe noi tutti ad essere più consapevoli su da dove veniamo e soprattutto che ci facciamo qui.

lunedì 5 maggio 2014

Ci risiamo, bomba d'acqua

Segnaliamo e archiviamo,

documento ARPAV

Certo che sta bomba d'acqua è caduta a fagiolo, schiere di candidati sindaci a monitorare, sorvegliare, visitare case, strade, campi allagati!
Il commento è facile e in parte demagogico: CEMENTIFICAZIONE!
Certo, l'urbanizzazione senza criteri è componente importante in quello che è successo la settimana scorsa nella fascia centro occidentale del Veneto, ma a mio vedere c'è di più!
Tra i primi a lamentarsi ci sono stati gli agricoltori, stimando centinaia di migliaia di euro di danni per i raccolti danneggiati, mi chiedo quanti tra questi conservano i fossati, li tengono puliti, rispettano le quote assegnate dai consorzi, rispettano le vecchie regole di aratura e sistemazione degli appezzamenti.
E i consorzi? Mancanza di fondi, personale, forse gestione delle risorse errata? Sta di fatto che la rete minore va in crisi facilmente.
Poi l'urbanizzazione, programmazione, mancanza di visione, mancanza di conoscenza, mancanza di uno sguardo che vada oltre un mandato elettorale!
Le bombe d'acqua sono sempre più frequenti, e il territorio subisce. Qualunque parte del nostro paese colpito da 250mm in 5 ore, finirebbe allagata, ma questo non può esser portato come giustificazione.
Le previsioni dell'IPCC http://www.ipcc.ch/ sono chiare, ma rimangono discorsi "alti", "distanti"!
Vabbè, il clima cambia...
Il clima siamo noi, è la nostra vita quotidiana e condizionerà sempre più pesantemente la nostra esistenza.
E' profondamente sbagliato non trovare un nesso tra cambiamenti climatici e quel fossetto (cosa vuoi che serva quel fossetto che è quasi sempre secco, tombiniamolo!), tra un campo appena seminato e allagato e i nostri modi di vivere.
Cosa centra la geologia in tutto ciò?
Centra per la forma mentale che il geologo dovrebbe avere, per quel pensare OLISTICO, e su lunghi periodi che lo distingue dagli altri scienziati naturali. Centra nello specifico perchè un'attenta analisi del microrilievo del territorio eviterebbe urbanizzazioni in posti non adatti, suggerirebbe un diverso dimensionamento della rete di scolo, etcc.. Questa non è fantascienza, è scienza e pratica di basso costo, con professionalità già presenti ma non sfruttate!
Per uscirne serve un piano nazionale, scalato a livello locale, fatto da una serie di interventi specifici di manutenzione, ampliamento, miglioramento, con i quali "aggiustare" il territorio.
Servono poi una serie di divieti! Ricordo che nell'alluvione di Mestre del 2007 fu vietata la costruzione di nuove abitazioni con garage interrato.
Vi segnalo questa presentazione:
http://www.image.unipd.it/master_bonifica/Interventi_Convegno_Rovigo_2012/CARRARO_Rovigo_23-03-2012.pdf



domenica 27 aprile 2014

evoluzionismo... alla veneta

Ho meditato a lungo prima di scrivere il post, ma credo che questo blog sia il luogo adatto per affrontare certi temi. Scopo del Reggipoggio è, infatti, diffondere la cultura delle Scienze della Terra e valorizzare le peculiarità venete sul tema. Esiste un posto, a Cartigliano, il Parco Faunistico Cappeller (http://www.parcocappeller.com) , molto frequentato dalle famiglie invero, e, infatti, io l'ho conosciuto proprio per averci portato la mia genia. Ora, non voglio aprire un dibattito sugli zoo, posti su cui anche io ho molte perplessità e timori, ma vorrei solo rendere edotti del fatto che in questo parco faunistico, ove sipossono incontrare animali provenienti da diversi ecosistemi, vi è un museo a tema strettamente evoluzionistico. In particolare, il tema principale è l'evoluzione umana, si parte con una statua di Darwin, per inoltrarsi in un percorso che tra ricostruzioni dei reperti più famosi della paleantropologia (dalle impronte di Laetoli in Tanzania, alle ossa di Lucy), ripercorre il cammino dell'evoluzione umana, intronducendo vari concetti evoluzionisti, attraverso anche la ricostruzione  di scene di vita dei nostri vari antenati, il tutto scandito con il sottofondo dei Carmina Burana, che secondo me, per dare solennità e pathos alla nostra storia non ci stanno affatto male. Il giro al museo si conclude con una ricotruzione dei principali ecosistemi odierni,  usando molte ricostruzioni e devo dire anche un po' di animali impagliati, pennuti per lo più. Diciamo che anche un tassidermista qui se la passa. 
Ora il valore didattico del museo è indubbio e presenta i concetti base dell'evoluzione in maniera molto precisa e chiara, ma sopratutto direi in modo molto deciso. Trovare un posto così, nel cuore del Veneto, non è, poi ,qualcosa su cui non valga la pena riflettere. E forse, anche visitare.

mercoledì 12 marzo 2014

Le ultime sulla LAGUNA....


Mercoledì 12 Marzo 2014

La Nuova Venezia
La laguna resta inquinata l’allarme dei dati Arpav
Consegnati alla Regione i risultati del monitoraggio chimico e biologico
Mercurio trovato in cozze e vongole, Rialto tra le aree con le maggiori tossicità
di Enrico Tantucci

La laguna di Venezia sta decisamente male dal punto di vista ecologico e ambientale. Lo certifica anche il primo ciclo di monitoraggio sui cosiddetti “corpi idrici” della laguna - canali e bacini acquei - consegnato in questi giorni alla Regione dall’Arpav, l’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto e dallo stesso Magistrato alle Acque che ha condotto a sua volta un ciclo di rilevazioni, con dati rilevati sino alla fine del 2012. Dal punto di vista biologico è stato monitorato lo stato di salute di pesci, molluschi, piante lagunari e altri organismi dell’ecosistema. Risulta in particolare scarso lo stato ecologico di aree lagunari come Dese, Millecampi Teneri, Val di Brenta, Teneri, Marghera e Tessera, mentre lo stato chimico sarebbe buono per tutte le aree secondo l’Arpav. I saggi biologici compiuti nel 2011 dall’Agenzia ambientale hanno rilevato ad esempio la tossicità di un crostaceo come il Corophium orientale - utilizzato proprio come bioindicatore del grado di inquinamento delle acque marine o salmastre - in aree lagunari come Valle Ca’ Zane, le Paludi di Cona e della Rosa, San Giacomo, Buel del Lovo, Lazzaretto Vecchio, Sacca Sessola, Millecampi, Bassofondo Fisolo, San Pietro in Volta, Settemorti, Valle Pierimpiè, Val di Brenta e persino a Rialto, dove la tossicità è confermata anche da altri indicatori biologici come l’alga Dunaliella terctiolecta e microorganismi come il Vibrio fisceri. Ma in base a questi indicatori, la tossicità - solo per restare vicino a Venezia - riguarda ad esempio Ponte della Libertà, Campalto, Vignole, Tessera, Palude di Burano, Sacca Sessola, Lazzaretto Vecchio e molti altri siti lagunari. Venendo poi in particolare a cozze e vongole, la presenza di mercurio oltre i limiti consentiti è stata rilevata con i monitoraggi Arpav ancora una volta a Rialto, ma anche a Tessera, nella Palude di Burano, a San Giacomo, nella Valli da pesca Ca’ Zane e Lanzoni, alle Vignole, a San Nicolò, al Lazzaretto Vecchio, a Sacca Sessola, a Millecampi, al Lago dei Teneri, e si potrebbe continuare. Ma anche tornando allo stato chimico - pur definito complessivamente buono per la laguna nel rapporto - non mancano le criticità per il superamento di oltre il 20 per cento del livello massimo ammesso di sostanze inquinanti nell’acqua come cadmio, piombo, mercurio, benzopirene, fluorantene nella Valli da pesca Dogà, Cavallino, Ca Zane, Lanzoni Zappa e Pierimpiè, nella Palude di Burano, ancora a Rialto, alle Vignole, a Sant’Erasmo, a San Nicolò. Ma anche in questo caso l’elenco potrebbe continuare.


Mercoledì 12 Marzo 2014
La Nuova Venezia

Aggiornato il Piano Direttore

La Regione - sulla base dei dati del monitoraggio dell'Arpav, l'Agenzia regionale per l'ambiente - che ha appena aggiornato il piano direttore per la prevenzione dell'inquinamento e il risanamento delle acque del bacino scolante, che risaliva al Duemila. Quel Piano, facendo propri i limiti posti dalla Legge Speciale per Venezia, aveva fissato l'obiettivo di sversare ogni anno in laguna un carico massimo di 3 mila tonnellate di azoto e 300 di fosforo. Ebbene se il carico di fosforo nei dieci anni successivi e fino ad oggi ha più o meno centrato l'obiettivo, il carico di azoto è stati ben 5 mila tonnellate all'anno, con una punta di 7300 toccate nel 2010. Il monitoraggio ha messo in evidenza che a portare l'azoto sono i corsi d'acqua e i canali agricoli che scaricano in laguna. Dal monitoraggio compiuto dall'Arpav nel triennio 2010-2012 è emerso che i parametri particolarmente critici sono l'azoto ammoniacale e a seguire l'azoto nitrico e il fosforo.

 

giovedì 20 febbraio 2014

La storia del Vajont

Vajont al Muse

Vi segnaliamo "La storia del Vajont”, al Muse di Trento fino a venerdì, che racconta, attraverso le fotografie del geologo Edoardo Semenza,  il disastro del Vajont. 

sabato 8 febbraio 2014

tra scalpore e utilità

Segnaliamo questi articoli interessanti apparsi durante la settimana, in cui si evidenzia ancora una volta la necessità d'interventi e risorse per sicurezza idraulica, interessante è l'intervento del Prof. Rusconi (che sebbene tra le righe suggerisce la realizzazione dell'idrovia) segnala l'arretratezza delle opere di difesa idraulica e la tendenza a preferire costosi interventi "spettacolari" piuttosto che meno mediatici, ma più concreti interventi di ripristino per lo spazio delle acque. Da segnalare e lo pubblicheremo appena possibile, l'intervento dell'ing. Bixio, già docente d'idraulica e esperto di bonifiche idrauliche, circa l'eliminazione degli spazi di esondazione per urbanizzazione e agricoltura intensiva, inizialmente previsti nelle opere di bonifica idraulica (ma guarda un po'...), quale elemento fortemente responsabile dell'attuale stato di dissesto idrologico.

Venerdì 7 Febbraio 2014
La Nuova Venezia
«Garantire la tenuta degli argini»
Il direttore del Consorzio Acque Risorgive: servono opere per 11,5 milioni

Filippo De Gaspari

MIRANO Passata l’onda di piena, non ancora la paura. Mentre torna a piovere, già si tracciano i primi bilanci al consorzio di bonifica Acque Risorgive. Ieri il direttore Carlo Bendoricchio ha fatto il punto della situazione sugli oltre 2 mila chilometri di rete idrografica in gestione, messa a dura prova dall’ultimo evento alluvionale. «Le eccezionali piogge dei giorni scorsi», spiega, «hanno sottoposto gli argini a uno stress notevole. Ma il monitoraggio continuo messo in campo dai nostri uomini ha permesso di intervenire garantendo la loro tenuta, come ad esempio è avvenuto lungo il Dese tra Scorzè e Martellago». Situazioni a rischio ce ne sono state, tutte scongiurate, a sentire Bendoricchio, grazie alle manovre idrauliche decise in base all’andamento dei livelli. Quello che ora ci si chiede, tra Miranese e Riviera, è se sia davvero finita. Il meteo per oggi e domani non promette nulla di buono: tornerà a piovere, anche se meno intensamente dei giorni scorsi, ma per ora Bendoricchio esclude rischi di cedimento degli argini, a meno di eventi al momento imprevedibili. «Certo per poter escludere in futuro eventi alluvionali», aggiunge il direttore, «oltre al monitoraggio, servono finanziamenti per realizzare interventi strutturali di adeguamento della rete idrografica». E qui sono note dolenti. Bravi i tecnici, riuscite tutte le manovre idrauliche. Ma le opere antiallagamento? Tante, forse ancora troppe quelle già finanziate ma ancora in corso o in fase di progettazione. La Riviera attende ancora il ripristino dello scolo Brentelle a Mira per un importo di 900 mila euro, il collegamento Soresina-Bastie con nuova botte a sifone sotto l’idrovia a Mira, per 4 milioni 250 mila euro. Il Miranese non se la passa meglio: non è finita la sistemazione del Lusore a monte del taglio di Mirano, tra Mirano e Santa Maria di Sala, per oltre 2 milioni di euro. E ancora la ristrutturazione della rete dei collettori Marignana, il deviatore Piovega di Peseggia, il bacino Pisani, Marocchesa e Tarù che interessa vari comuni, tra cui Scorzè, per oltre 6 milioni di euro, il potenziamento dell’impianto idrovoro di Lova e della botte a sifone sotto il canale Taglio Novissimo a Campagna Lupia per 3 milioni di euro e altri interventi di importo minore, ma non per questo meno importanti. Poi tutta la rete idraulica minore, fondamentale: a realizzare solo le opere previste dai singoli piani comunali delle acque servono circa 11 milioni e mezzo di euro, ed è solo un prima stima. Bendoricchio è chiaro: c’è una parte che afferisce al consorzio e riguarda la gestione delle acque, un’altra che invece concerne l’adeguamento strutturale delle opere di bonifica. E per quelle servono i soldi e una certa fretta di procedere. «Abbiamo chiare le problematiche e come intervenire», precisa meglio, «servono i finanziamenti, consapevoli che le opere rappresentano un investimento di prevenzione, molto minore rispetto a quello necessario per ripristinare i danni».

 
«Difese idrauliche del secolo scorso»
L'ingegner Rusconi, esperto di fiumi: ultimi interventi durante il fascismo, acque dolci e torbide avvistate in Canal Grande

di Alberto Vitucci

«La neve che ha lasciato al buioCortina e la montagna veneta ci ha salvato ». L'ingegnere Antonio Rusconi, esperto di fiumi, già presidente dell'Idrografico e dell'Autorità di bacino del Veneto, fa gli scongiuri.
«Gli allagamenti di questi giorni», dice, hanno interessato i fiumi pedemontani, come Livenza, Bacchiglione e Lemene, o quelli di risorigiva come Sile, Dese e Zero . I grandi fiumi alpini come Piave, Brenta e Tagliamento non hanno dato problemi. Ma se dovesse arrivare lo scirocco o la pioggia anche ad alte quote la situazione potrebbe diventare drammatica». Allarme meteo e fiumi che esondano, mezzo Nord allagato. E le acque di piena dei fiumi che adesso arrivano copiose in laguna nord, insieme alle acque non proprio cristalline pompate dalle idrovore, cariche di inquinanti. Acque dolci e sedimenti arrivati fino in pieno Canal Grande. Ieri mattina i canali interni della città avevano un particolare colore verde chiaro, con sedimenti copiosi. «Un fenomeno che succede nel caso di piena», spiega Rusconi, «ma che in questi giorni è particolarmente intenso». In laguna nord dunque si rischia l'interrimento, con i sedimenti e l'acqua dolce, mentre in laguna sud la situazione è opposta: per lo scavo dei canali, il moto ondoso e le navi, le barene vanno scomparendo, l'erosione aumenta e la laguna si sta trasformando in un braccio di mare. Ecco perché, dice Rusconi, «sarebbe salutare qui far defluire una parte delle acque di piena di Brenta e Bacchiglione. Darebbe sollievo al territorio e ricostituirebbe in parte la morfologia originaria». Intanto il Veneto Orientale è completamente sott'acqua. Colpa della natura o anche dell'uomo? «I fenomeni atmosferici sono sempre più intensi e violenti per i cambiamenti climatici», spiega l'ingegnere, «ma a questo dobbiamo aggiungere la trasformazione del territorio che trasforma la pioggia in acque superficiali. La cementificazione del territorio produce questo, e a parità di piogge le acque superficiali sono di più. Anche le piogge aumentano. E se questo è colpa del clima, la trasformazione del territorio è opera dell'uomo». Situazione di maltempo eccezionale che ha portato acqua ovunque. Si poteva fare qualcosa? «Difficile dirlo, in queste situazioni estreme probabilmente gli allagamenti ci sarebbero stati lo stesso. Ma la rete di difesa idraulica è quella del secolo scorso. Gli ultimi interventi sono stati fatti durante il fascismo, e comunque prevedevano difese per un territorio agricolo. Nel frattempo i campi sono diventati un'area metropolitana, capannoni, villette e cemento. E il sistema non regge più. Una rete più moderna aiuterebbe almeno a ridurre l'emergenza e a garantire un po' di sicurezza in più». Ma i grandi interventi di manutenzione non sono popolari, si preferiscono dighe e grandi opere. E molti piani varati dalle Autorità di Bacino restano su carta, la difesa idraulica è ferma ai primi del Novecento. E intanto continua a piovere.

 

mercoledì 5 febbraio 2014

link utile

Servizio di trasmissione dati idrometrici fornito da ARPA Veneto in formato xml

http://www.arpa.veneto.it/upload_teolo/dati_xml/Ultime48ore.xml

da tenere a mente in caso di necessità!

Movimenti atmosferici

Vi segnalo un sito interessantissimo sulla situazione in tempo reale delle dinamiche atmosferiche e non solo.
http://earth.nullschool.net/


martedì 4 febbraio 2014

Informazioni corrette?

Lo so, la situazione attuale è critica e far le pulci sui nomi delle cose, potrebbe apparire stupido. In realtà la cosa è rilevante visto che la maggior parte dei mezzi di comunicazione utilizza i servizi di google maps come base informativa. Vi riporto lo stralcio di un'area che attualmente è sommersa, dall'esondazione di scoli "secondari" , scolo menona e canale biancolino. E' ben visibile sulla mappa di google come il canale Battaglia, magicamente prenda il nome di fiume Guà, e il canale biancolino non sia neanche presente. Tanto più in situazioni di emergenza, l'informazione dovrebbe esser corretta! Ormai la conoscenza del territorio non è demandata ad un server a migliaia di km di distanza...

OpenStreetMap


Visualizza mappa ingrandita
 

domenica 2 febbraio 2014

Sicurezza dalle acque

Anche in questi giorni, di intense precipitazioni, la vulnerabilità idraulica del nostro paese è tornata in tutta la sua evidenza. E di nuovo sono ripartiti i soliti discorsi, la cementificazione, lo scarso coordinamento, la poca manutenzione delle vie d'acqua etc etc, ogni volta così, i soliti discorsi, ma mai che si agisca davvero. Ma è invece tempo di agire. Nel nostro Veneto, tutti col fiato sospeso ha guadare che facevano i nostri fiumi, qualche scolo minore ha tracimato e tra i fiumi, il Livenza ha esondato dal suo letto. Qui la situazione è stata un po' più critica, poiché in contemporanea alle eccezzionali precipitazioni, si sono manifestati alcuni fenomeni, che hanno fatto sì che il principale corpo ricettore, la Laguna di Venezia, non fosse in grado di ricevere granché, essendo interessata da fenomeni di acqua alta, legati a venti di scirocco e ad alcune dinamiche tipiche dell'Adriatico, che fanno si che si comporti similmente a un lago (i laghi sono un po' dei catini, se provocate un'oscillazione, vedrete l'acqua crescere alternativamente da un lato e dall'altro, ciò avviene per fenomeni mareali e legati ai venti - l'Adriatico, per la sua conformazione, si comporta un po' così), provocando accumuli di masse d'acqua a ridosso del Golfo di Venezia, creando dei gradienti idraulici, che rendono problematico lo scarico dei corsi d'acqua, con fenomeni di riflusso dalle foci verso terra, cosa che può creare, e in passato lo ha fatto, fenomeni di esondazione a ridosso della linea di costa - non ha caso Dante ci ricorda che a ridosso della Laguna i fiumi tendevano a impaludarsi. Tutto questo ha dimostrato ancora una volta, che se si vuole ottenere la sicurezza dalla acque, bisogna più che creare ulteriori canalizzazioni - lo dico per i promoter dell'Idrovia Padova - Venezia, in questi giorni non solo non sarebbe servita, ma sarebbe stato un fattore di rischio in più - ridare spazi all'acqua, ricreare le fasce di esondazione che sono state obliterate spesso per far spazio all'insediamento umano. Certo questo è complicato da fare, significa trovare il coraggio di demolire e spostare urbanizzazioni. Costa? Certo, ma proviamo a fare i conti di quanto si risparmierebbe in termini di mancati danni e acquisita tranquillità. Credo, a spanne di poter dire che il guadagno è assicurato.

venerdì 31 gennaio 2014

Terremoto a Groninga

Volevo segnalarvi un articolo uscito sulla rivista "Internazionale" nel numero di gennaio 2014 dal titolo "Terremoto a Groninga".
Groninga si trova nell'estremo nord dei Paesi Bassi ed è al centro di un zona di sfruttamento di giacimenti di gas naturale. Nell'ultimo periodo si sono riscontrati sempre più microsismi con danni alle abitazioni, portando il governo olandese ad una riduzione del 20% delle estrazioni.
A voi le considerazioni del caso.



Di seguito il link ad un precedente articolo.
http://www.presseurop.eu/it/content/article/3457441-il-peso-del-gas

http://www.dinoloket.nl/ondergrondmodellen
questo è un link utile per esplorare un pò di stratigrafie della zona, mentre se andate su onegeology potete vedere la carta geologica olandese.